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Napolitano spiega al premier come fare la riforma del Senato

Nel faccia a faccia al Quirinale il capo dello Stato chiede a Renzi di migliorare la legge e di mediare con Fi e la minoranza Pd

Napolitano spiega al premier come fare la riforma del Senato

Quando arriva, a mezzogiorno, Matteo Renzi non ha certo l'aria felice. Quando esce, un'ora dopo, sembra più disteso. «Torniamo a piedi», dice ai suoi. Scende per via della Dataria, costeggia la Fontana di Trevi, batte il cinque con i pellegrini e si concede ai selfie dei turisti. «Ora basta, rientro, sennò non si lavora più».

Giorgio Napolitano infatti gli ha dato i compiti. Una linea sintetizzabile così: smussa, ammorbidisci, cedi sui dettagli, correggi «le ambiguità e i punti confusi» e porta a casa il risultato. Ma per sbloccare la situazione serve un «gesto», un segnale, un'apertura. Potremo chiamarla «concessione», o «mediazione». Insomma Matteo - questo il succo del discorso presidenziale -, chiamiamola come ci pare però, se non vogliamo che le riforme si sblocchino, qualcosa la devi mollare. In assenza di «numeri certi» certe volte è inutile correre «testa bassa». I primi da convincere sono quelli della minoranza del Pd, che però attraverso Anna Finocchiaro, ricevuta sul Colle giovedì, il capo dello Stato ha già ammorbidito. E se il governo modificherà la composizione del Senato delle autonomie, magari pure l'opposizione di Forza Italia potrebbe allentarsi.

Renzi ringrazia e si dice d'accordo e promette di dare ascolto al «confronto parlamentare». I numeri hanno una loro forza. Ai fedelissimi dispensa ampie dosi di ottimismo. «Siamo a un passo dal chiudere positivamente la partita delle riforme - spiega - e io non ho alcuna intenzione di rallentarle». Matteo vuole il via libera prima delle elezioni, anche se il capo dello Stato lo invita comunque alla prudenza, perché il pericolo non è tanto che le riforme vengano «svuotate» quanto che l'intero pacchetto vada al macero. Fallirebbe Renzi, che ha puntato forte sulla riscrittura delle regole, ma fallirebbe anche Napolitano, il cui secondo mandato al Quirinale ha le riforme come architrave portante.

Quindi ascoltare, ricucire, trattare. Per recuperare gran parte della dissidenza del Pd, concordano, non c'è nemmeno bisogno di grandi modifiche. Domani Renzi vedrà Luigi Zanda, capogruppo a Palazzo Madama, e Anna Finocchiaro, presidente della commissione Affari istituzionali. Martedì incontrerà in un'assemblea tutti i senatori democratici. E mercoledì Palazzo Chigi forse partorirà una nuova bozza che accoglierà molte delle proposte alternative.

Per venire incontro a Forza Italia si sta ad esempio pensando di aumentare la rappresentanza delle Regioni e diminuire quella dei Comuni nella Camera delle autonomie: i sindaci delle grandi città, ha fatto notare il Cavaliere, sono quasi tutti di centrosinistra. Un altro ritocco potrebbe riguardare il peso delle regioni, perché non è pensabile che il Lazio e Lombardia abbiamo le stesse poltrone di Molise o Basilicata. Il terzo punto è ridurre la quota di senatori di nomina quirinalizia. E poi si potrebbe ipotizzare un allargamento delle competenze, dai rapporti con l'Europa al raccordo tra leggi locali e statali.

Basteranno questi correttivi? Matteo si dice «tranquillissimo» e pronto «al confronto parlamentare», purché sia «preservato il patto del Nazareno». Però, siccome ancora non si sa come andrà a finire il braccio di ferro, il premier si sta preparando una rete di protezione: in caso le riforme si arenino, per evitare un pericoloso «vuoto di provvedimenti», accelererà su altri dossier come pubblica amministrazione, energia, scuola, senza dimenticare la preparazione del semestre europeo. In queste ore a Roma c'è un via vai di presidenti e capi di governo, invitati alla canonizzazione e ricevuti a Palazzo Chigi: un'ottima occasione per darsi uno spolvero internazionale. Quanto all'arma finale, l'ipotesi di cercare l'incidente per andare alle urne, «l'orizzonte resta il 2018».

Anche perché Re Giorgio non vuole un'altra crisi.

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