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Il braccio destro di Renzi vuol già cambiare nome al Pd. Ma arriva l'alt di Matteo

Dario Nardella, destinato a succedere a Renzi a Palazzo Vecchio: "L'establishment teme Matteo, e fa bene. Ma il Pd deve ancora rinnovarsi". Poi l'idea viene bocciata dal segretario

Il braccio destro di Renzi vuol già cambiare nome al Pd. Ma arriva l'alt di Matteo

Dario Nardella è un fedelissimo di Matteo Renzi: 38 anni, vicesindaco di Firenze, deputato dimissionario e prossimo successore del segretario democratico a Palazzo Vecchio. Del suo mentore sembra però aver ereditato anche l'ambizione: ancora non si è insediato sulla poltrona che fu di Renzi e già propone cambiamenti che stravolgerebbero completamente l'essenza stessa del Pd. A partire dal nome.

Ma andiamo con ordine: in un'intervista al Corriere della Sera, Nardella non lesina complimenti al suo leader ("ha scelto con altruismo la strada più rischiosa"), ma, salomonicamente, regala uno zuccherino anche a Enrico Letta, che tanto ormai è fuori dai giochi: il premier uscente "ha rappresentato bene l'Italia all'estero, ma non ha messo in campo il coraggio necessario". Si scaglia contro i poteri forti, che considererebbero Renzi addirittura come "un barbaro", un leader popolare pronto a sovvertire lo status quo e a sconvolgere le categorie del vecchio establishment; si mostra fiducioso nelle capacità del presidente del Consiglio incaricato, che è al tempo stesso "veloce e pronto", ma anche dotato di una prospettiva di medio e lungo periodo.

Nardella rivendica maggior spazio per la politica, chiedendo a gran voce la chiusura di quell' "era dei tecnici" che, nelle sue parole, è ormai tempo di lasciarci alle spalle; ma è ai sindaci che - prevedibilmente - assegna il ruolo di protagonisti della politica nazionale. "Conoscono meglio di tutti l'Italia reale, mentre la distanza tra le istituzioni centrali e la società reale continua a crescere: i sindaci sono l'espressione migliore della politica italiana", chiosa Nardella, che elenca anche i temi su cui è più urgente intervenire. Dalla Rai ("merita una rivoluzione"), alla legge elettorale ("l'Italicum si può migliorare, ma nello schema di Renzi"), il vicesindaco di Firenze si mostra preoccupato solo per quanto riguarda il Pd: "Non ci saranno scissioni, ma il Pd deve dar seguito a una decisione di cui è stato protagonista".

Ma la sorpresa più grande la tiene per la fine: la proposta è quella di togliere dal nome la parola "partito". "Stiamo vivendo un cambio epocale del mondo di fare politica. Ci sono nuove forme di partecipazione che non possono essere racchiuse nella forma tradizionale del partito dello scorso secolo. Prendiamo esempio da movimenti emergenti come i Cinque Stelle. I tempi sono maturi per chiamarci solo "Democratici", senza "partito"." Chissà come la prenderanno i vari D'Alema, Cuperlo e Fassina, che dopo essersi visti soffiare il "comunista" da sotto il naso ora rischiano di perdere anche il "partito".

Nel pomeriggio, a margine delle consultazioni, arriva la risposta del segretario democratico e premier in pectore: "Il Pd non deve cambiare nome. Punto", ha dichiarato Renzi, chiudendo ogni spazio all'apertura di ogni possibile discussione.

Contro la proposta di Nardella si era espresso anche Vannino Chiti.

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