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Nasce l'asse Alfano-Maroni contro il ritorno di Forza Italia

I segretari spaventati dal partito del Cav: Lega pronta a votare Angelino premier. Nessuna sintonia invece sulla coalizione-bis e sul candidato unico in Lombardia

Nasce l'asse Alfano-Maroni contro il ritorno di Forza Italia

Milano Né Monti né Berlusconi, ma Alfano sì. La Lega è tornata un partito senza mezze misure e Roberto Maroni detta le condizioni. È sabato mattina, comincia il fine settimana in cui il Carroccio chiama i militanti alla «gazebata» sotto la neve: inevitabile lanciare messaggi chiari. Ma a fianco, all'ultimo piano della Mondadori di piazza Duomo a Milano per presentare l'ultimo libro di Bruno Vespa, siede Maurizio Lupi, vicepresidente della Camera. E i messaggi sono rivolti soprattutto ai pidiellini.

Messaggi trasversali. Perché mentre cena amichevolmente con Silvio Berlusconi trattando accordi in Lombardia e a Roma, in realtà Maroni ha una linea aperta anche con Angelino Alfano. Il segretario del Pdl che Bobo voterebbe se si candidasse per Palazzo Chigi. Il vero accordo è tra loro due, le nuove generazioni dei rispettivi partiti, che male vedrebbero una rinascita di Forza Italia nel dissolvimento del Pdl. Il ritorno del partito del Cavaliere spaventa i due segretari. Timori confermati dalla telefonata fatta da Roberto Calderoli ieri ad Arcore durante l'incontro tra Berlusconi e Alfano: «La Lega è con Angelino».
In questo intreccio resta lontano l'accordo per un candidato unico alla regione Lombardia e lontanissima la prospettiva di rifare la coalizione del 2008 alle elezioni politiche. La Lega non cederà. Dice Maroni che un conto sono gli accordi locali, un altro quelli nazionali. Non c'è motivo per farli coincidere, come invece ripete il Pdl.

Ha voglia Lupi a parlare di unità e ricomposizione dei partiti storici del centrodestra: «Ogni volta che i moderati si sono presentati divisi hanno regalato la vittoria alla sinistra. Se il Pdl si dividesse sarebbe l'errore più grave». Ribatte Maroni: «Quando mi guardo la mattina allo specchio non mi vedo molto moderato». Lui non nota tutta questa voglia di «moderazione» tra gli italiani spremuti da Monti. «L'ultima del governo è avere tolto ai comuni gli introiti dell'Imu sui capannoni industriali, quasi tutti concentrati al Nord. Tutto si può chiedere alla Lega tranne che votare Monti».
Maroni però boccia anche l'autocandidatura di Berlusconi. Bobo fa intendere che difficilmente lo stesso Umberto Bossi sarà in lista: «Nella Lega nemmeno il segretario ha il posto assicurato, per Bossi decideremo il 7-8 gennaio dopo aver consultato la base che manifesta grande voglia di cambiamento». Quindi, si dia una rinfrescata anche il Pdl. «Nella cena di martedì abbiamo discusso con grande e reciproca simpatia, come sempre. Ho fatto presente che un rinnovato patto deve avere un significato di nuovo. Ho indicato Alfano, che era presente, come uno dei possibili candidati su cui la Lega potrebbe starci, e la valutazione di Berlusconi è stata tutto sommato positiva. Ma mi andrebbe bene anche Lupi - sorride Maroni - gli sono amico, è milanista ed è di Cl. Anche uno dei miei tre figli è del movimento». Non è escluso che la Lega lanci Flavio Tosi. «Me l'ha chiesto Maroni, se a lui va bene non ho problemi», ha confermato ieri il sindaco di Verona.

Ma la prima condizione che pone la Lega per dialogare con il Pdl è il «no» a Mario Monti. «Non sono disposto, pur di avere una poltroncina o una poltronciona, a mettere da parte i miei programmi e i miei ideali. Abbiamo fatto sempre opposizione a Monti, votarlo sarebbe un'incoerenza. In Lombardia avevo proposto primarie di coalizione, ero disposto a farmi da parte se avesse vinto uno del Pdl. Si è perso troppo tempo. Ora c'è la mia candidatura e per noi non esiste alternativa». Men che meno Gabriele Albertini su cui, dice Lupi, il Pdl è pronto a convergere.
Inflessibile Maroni anche sui consiglieri regionali lombardi indagati per l'uso irregolare di denaro pubblico. «Intanto le violazioni sono tutte da accertare, e mi domando perché la magistratura indaghi sono su Pdl e Lega negli ultimi due anni, visto che la legge è del 1972 e riguarda tutti i partiti. In ogni caso ho già avviato una verifica interna e tutti i nostri consiglieri che hanno violato il nostro codice di comportamento, anche senza commettere reati penali, non saranno ricandidati, fossero anche tutti».

A partire da Renzo «Trota» Bossi.

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