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Nella «summa» di Francesco c'è la conversione del papato

È la missionarietà della Chiesa il cuore dell'Esortazione apostolica Evangelii gaudium pubblicata ieri da Papa Francesco. Documento programmatico del pontificato, compendio del suo magistero pastorale, summa dell'impeto rinnovatore che abbiamo imparato a conoscere dal 13 marzo scorso a oggi. Pastori e cristiani devono «raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo», scrive Francesco. Ma per questo è necessaria una «conversione del papato» e l'attribuzione di un ruolo maggiore alle conferenze episcopali. Perché «un'eccessiva centralizzazione» non aiuta la dinamica missionaria della Chiesa. Il cristianesimo non è un reticolato di precetti da imporre a chi si avvicina alla fede. Certe norme e certe forme che non appartengono al nucleo del Vangelo possono valere per un tempo e non per un altro. «San Tommaso d'Aquino - scrive Bergoglio - sottolineava che i precetti dati da Cristo e dagli apostoli al popolo di Dio “sono pochissimi”. Citando sant'Agostino, notava che i precetti aggiunti dalla Chiesa posteriormente si devono esigere con moderazione “per non appesantire la vita ai fedeli” e trasformare la nostra religione in una schiavitù, quando “la misericordia di Dio ha voluto che fosse libera”». Sul terreno dell'etica, poi, i vescovi non possono tacere, ma «una pastorale in chiave missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine che si tenta di imporre a forza di insistere». Tuttavia, sull'aborto «non ci si deve attendere che la Chiesa cambi posizione» perché c'è un legame diretto tra «difesa della vita nascente e difesa di qualsiasi diritto umano».
Nelle 220 pagine dell'Esortazione, Bergoglio tocca molti argomenti, dalla richiesta ai governanti di realizzare una riforma della finanza nel senso dell'etica agli eccessi di certe omelie troppo lunghe o altre che sembrano «uno spettacolo di intrattenimento». Ma è la «trasformazione missionaria della Chiesa» ciò che sta più a cuore a Bergoglio, come dimostrano il tono vibrante e l'insistenza sul fatto che l'annuncio dev'essere rivolto a tutti (lo ha notato il mensile Vita, dopo Gesù, la parola «tutto - tutti» è la più pronunciata in questo pontificato). «È vitale - scrive il Papa - che oggi la Chiesa esca ad annunciare il Vangelo a tutti, in tutti i luoghi, in tutte le occasioni, senza indugio, senza repulsioni e senza paura. La gioia del Vangelo è per tutto il popolo, non può escludere nessuno». Per questo la Chiesa deve saper «prendere l'iniziativa senza paura, andare incontro, cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi».
Ribadendo la sua preferenza per una Chiesa magari «accidentata» piuttosto che ripiegata e autoreferenziale, Bergoglio chiarisce anche la sua insistenza sui poveri. «L'opzione per i poveri è una categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica. Dio - continua, citando Wojtyla - concede loro “la sua prima misericordia”. Questa preferenza divina ha delle conseguenze nella vita di fede di tutti i cristiani, chiamati ad avere “gli stessi sentimenti di Gesù”». Perciò, lungi da influenze politiche o ideologiche, l'impegno dei cristiani non consiste innanzitutto in forme di assistenza. «Quello che lo Spirito mette in moto non è un eccesso di attivismo, ma prima di tutto un'attenzione rivolta all'altro “considerandolo come un'unica cosa con se stesso”», conclude citando san Tommaso.
Insomma, sembra che, prima di condannare la deriva edonistica del mondo moderno che pure c'è («Il grande rischio del mondo attuale è una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata»), Francesco chieda un grande cambiamento alla cristianità. A cominciare dal suo vertice. Cioè, in un certo senso, da se stesso. «Dal momento che sono chiamato a vivere quanto chiedo agli altri devo anche pensare a una conversione del papato. A me spetta, come Vescovo di Roma, rimanere aperto ai suggerimenti orientati ad un esercizio del mio ministero che lo renda più fedele al significato che Gesù Cristo intese dargli e alle necessità attuali dell'evangelizzazione». Già Giovanni Paolo II, ricorda Bergoglio, aveva chiesto nell'enciclica Ut unum sint di essere aiutato a trovare «una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all'essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova». Tuttavia, osserva, «siamo avanzati poco in questo senso.

Anche il papato e le strutture centrali della Chiesa universale hanno bisogno di ascoltare l'appello ad una conversione pastorale».

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