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"Nessuno al governo sapeva". E Alfano decapita il Viminale

Il vicepremier in aula ricostruisce la vicenda dell'espulsione della donna kazaka. Il suo capo di gabinetto si dimette

"Nessuno al governo sapeva". E Alfano decapita il Viminale

Roma - È il giorno più lungo per Angelino Alfano, il momento in cui fare chiarezza sull'affaire Kazakistan e dipanare l'opaca matassa delle responsabilità interne al Viminale che hanno portato al pasticcio del rimpatrio forzato di Alma Shalabayeva e di sua figlia. Il titolare all'Interno decide di accelerare i tempi e di riferire alle Camere ventiquattro ore prima di quanto inizialmente previsto. Una mossa con la quale punta a uscire dall'angolo e a smentire le interpretazioni più marcatamente complottiste. Alfano vuole, invece, chiarire in maniera inequivocabile che tanto lui quanto gli altri membri del governo non erano mai stati messi a parte della vicenda.

«Non ero stato informato», assicura il vicepremier al Senato, «Nessun ministro del governo lo era stato. In nessuna fase della vicenda i funzionari italiani hanno avuto informazione alcuna che Ablyazov fosse un rifugiato politico e non un pericoloso latitante». Inoltre, spiega il ministro, «non è mai stata presentata domanda d'asilo da parte di Alma Shalabayeva» e «la donna non ha mostrano neppure nessun permesso di soggiorno», mentre «il cognato di Alma, portato all'ufficio immigrazione della Questura di Roma, ha riferito di essere in possesso di un permesso di soggiorno lettone» ed «è stato rilasciato». È questo il punto cardine su cui fin dal primo mattino, chiuso al Viminale con i suoi più stretti collaboratori, costruisce la sua difesa, analizzando il rapporto del capo della Polizia, Alessandro Pansa. È su questa evidente anomalia che punta a smentire chi tende a leggere e costruire il castello del «dolo» negli stessi comportamenti governativi.

Dopo un vertice di fuoco andato in scena al Viminale due giorni fa, Alfano decide anche di dare seguito alle rimozioni dei dirigenti ritenuti responsabili del «buco informativo» che ha segnato i quattro giorni infernali dell'operazione Shalabayeva. Perché se è vero che come dice il ministro Annamaria Cancellieri «per una normale espulsione non si informa un ministro», nella seconda fase dell'operazione Alfano ha riscontrato una «anomala interruzione del flusso informativo». Per questo il vicepremier, già da lunedì in serata ha accettato le dimissioni del suo capo di gabinetto Giuseppe Procaccini (che potrebbe essere sostituito da Vincenzo Panico, prefetto di Reggio Calabria) e proposto l'avvicendamento del capo della segreteria del dipartimento, Alessandro Valeri, peraltro prossimo alla pensione. A maggio scorso, Procaccini, peraltro, era stato tra i più accreditati candidati per la poltrona di capo della polizia, dopo la morte di Antonio Manganelli. Con quella di Procaccini restano in bilico altre posizioni nella linea di comando del Viminale, e non solo. Insomma non è affatto detto che non possano cadere altre teste.

«Ho chiesto al capo della polizia una riorganizzazione complessiva del dipartimento della Ps, a cominciare dalla direzione centrale dell'immigrazione». A questo punto Alfano si prepara ad affrontare il contraccolpo politico della vicenda. Venerdì prossimo alle 8.30 l'aula del Senato esaminerà la mozione di sfiducia nei suoi confronti. Nel frattempo Emma Bonino convocherà l'ambasciatore del Kazakistan per ricevere chiarimenti sul caso e mostrare così che il governo italiano non ha intenzione di derubricare il caso a ordinaria amministrazione ed è deciso a continuare a far sentire la propria voce.

In ogni caso di fronte all'inevitabile pressione che verrà esercitata da parte del Pd per pretendere le dimissioni di Alfano (con il mantenimento del solo incarico di vicepremier) - tanto che la Santanchè tuona: «Perché il Pd non l'ha applaudito?» - nessuno nel Pdl è disposto a cedere a una ipotesi che significherebbe l'apertura della crisi di governo.

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