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Non risultano ingerenze, per il governo l'ex senatore Pdl avrebbe chiesto solo informazioni

Milano Gli storpiano persino il cognome: «Gregorio», anziché De Gregorio. E non è questo l'unico sgarbo che dal ministero della Giustizia di Hong Kong arriva all'ex senatore dell'Italia dei valori e del Pdl Sergio De Gregorio. Perché sul sito web il Department of justice della ex colonia britannica si prende la briga di ricostruire passaggio per passaggio la storia della rogatoria inviata dai pm milanesi per indagare su Silvio Berlusconi e la vicenda dei diritti tv. È la rogatoria che De Gregorio sostiene di avere rallentato su ordine del Cavaliere. Ma il Department smentisce l'ex senatore: «Mr.Gregorio» si sarebbe limitato a chiedere informazioni sull'andamento della rogatoria, e gli venne risposto che la pratica era all'esame della magistratura, che l'avrebbe gestita in totale autonomia. Fine.
È la seconda volta in pochi giorni che le rivelazioni di De Gregorio - interrogato il 10 settembre scorso dalla Procura milanese - non riescono a trovare conferma. Il 23 settembre scorso i pm avevano mandato la Guardia di finanza a fare incursione a sorpresa negli uffici del ministero degli Esteri, per scovare un appunto che l'ex berlusconiano sostiene di avere ricevuto dalle mani dell'ex ambasciatore De Pedys: ma, nonostante fossero state svuotate anche le casseforti più riservate, l'appunto non è saltato fuori. Ieri arriva il lungo comunicato del governo di Hong Kong. «Dal momento in cui la rogatoria è arrivata fino al momento della consegna del materiale il Dipartimento ha agito in base alla stretta osservanza delle leggi di Hong Kong, l'intero procedimento non è stato compromesso in alcun modo e nessuna considerazione irrilevante è stata presa in considerazione».
L'unica traccia concreta dell'intervento di De Gregorio nella vicenda risale al 9 ottobre 2007 quando Duncan Pescod, all'epoca addetto commerciale di Hong Kong presso l'unione europea, avvisa il Dipartimento di essere stato contattato da «mr.Gregorio» che gli chiedeva informazioni sullo stato della rogatoria, e di avergli risposto che «se la pratica era davanti ai giudici il governo non poteva fare alcun commento».
Il dipartimento aveva risposto a Pescod che la rogatoria era stata impugnata dalle due destinatarie, titolari di altrettante società a Hong Kong, e che la questione sarebbe stata affrontata dai giudici. Nient'altro. Il ministro della Giustizia, Wong Yan Lung, ora fa sapere di non avere nemmeno visto la mail di Pescod. I sei anni trascorsi da allora, e ricostruiti dal comunicato di ieri del Department, trascorrono tra complessi passaggi procedurali, ma senza traccia di «manine». Le due titolari delle società, Paddy Chan Mei Yiu e Katherine Hsu, presentano ricorsi su ricorsi che vengono ripetutamente respinti. Gli ultimi, nel luglio scorso, vengono bocciati nel giro di poche ore. E le carte possono partire per Milano.

Dove ora sono approdate: e dove, per inciso, si dice che non ci sia assolutamente niente di decisivo.

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