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"Nuova voglia di Forza Italia"

L’ex ministro Antonio Martino: "C’è un po’ di nostalgia. E nel Paese resta forte l’idea di un partito liberale di massa". Sull'Italia: "Noi in crisi? Siamo i più solidi d'Europa"

"Nuova voglia di Forza Italia"

Roma - Onorevole Antonio Martino, dopo i casi di Forza Lecco e Forza Verona, la «domanda di ’94» sembra aumentare. Esiste davvero questa nostalgia canaglia verso Forza Italia?
«Non è detto che la nascita di queste liste sia legata a questo, però di nostalgia di Forza Italia ce n’è tanta. Quell’idea di una rivoluzione liberale, di un partito liberale di massa è presentissima nel Paese».

Si è consumato un tradimento di quei valori?
«Berlusconi ha vinto le elezioni affrontando le campagne elettorali in maniera coerente, chiedendo il ridimensionamento della macchina pubblica, del carico fiscale, la lotta agli sprechi, le grandi riforme di sistema. Il suo problema, però, è sempre stato la scelta del presidente della Camera».

Cosa intende?
«Nel ’94 dopo la Pivetti la Lega fece cadere il governo. Nel 2001 è stata la volta di Casini. In questa legislatura poi c’è stato il disastro combinato da Fini con una scissione incomprensibile. Gliel’ho detto a Berlusconi: avresti dovuto fare me come presidente della Camera».

E lui come le ha risposto?
«Magari impazzivi anche tu».

Perché tante fibrillazioni dentro il Pdl in questo momento?
«Il Pdl è una invenzione di Berlusconi, la sua tenuta veniva assicurata dal suo carisma. Alfano è molto bravo e diventerà un leader ma non ha il carisma di Berlusconi».

Questa nostalgia nasce dall’insofferenza verso gli ex An?
«Non c’è solo quello. I forzaitalioti della prima ora devono fare i conti con l’anima socialista e con quella democristiana. La coabitazione prima era in funzione di Berlusconi».

Lei vede all’orizzonte una scomposizione e una ricomposizione?
«Non la auspico in assenza di un chiaro progetto di cui forse lo stesso Berlusconi dovrebbe farsi portatore. Berlusconi ha tanto da dire e deve svolgere un ruolo, in prima persona o dietro le quinte».

La trasformazione del Pdl, attraverso tessere e congressi, può aiutare?
«Soltanto il Pci riusciva con una organizzazione di tipo sovietico ad evitare, quasi sempre, le scissioni. La stessa Dc era continuamente in crisi».

Perché il richiamo al ’94 è ancora così efficace?
«Perché quei principi sono attualissimi e vincenti e vengono sposati da tutti. Inoltre i partiti oggi non sono il risultato di modelli teorici e politici. Le divisioni dentro il Pd sono più forti di quelle del Pdl. Fli, Udc e Idv sono partiti casuali. La stessa Lega, rinunciando a tagliare le province, ha dimostrato di aver esaurito la propria ispirazione ideale».

Il governo Monti potrà servire a dare una scossa?
«Monti lo conosco da una vita, lo proposi io come commissario europeo e dovetti insistere per dieci giorni perché non sentiva propria la delega al Mercato interno. Siamo diventati professori entrambi nel ’76 e lui mi ha rubato la palma del più giovane economista per soli tre mesi. Nonostante questo gliel’ho detto chiaro che non lo voterò mai».

Ma come giudica il suo governo?
«Ha creato la speranza di poter compiere quelle scelte difficili che una parte politica da sola non può fare. Ma si è fermato sul lavoro, nella consapevolezza che il Pd non è in grado di scegliere tra modernità e legame con il vecchio Pci e la Cgil».

Cosa farà Monti se la sua riforma sarà annacquata?
«Mi sembra abbia già accettato l’annacquamento. Avrebbe dovuto procedere per decreto per il quale però c’è solo la necessità e non l’urgenza».

La caduta del governo Monti avrebbe conseguenze drammatiche?
«Questa è la più grossa fandonia mai raccontata. Uno studio dell’università di Friburgo dimostra che l’Italia è il Paese più solido della Zona euro, con un debito per il 60% in mano agli italiani. Piuttosto il rischio è un altro».

Quale?
«Il pareggio di bilancio entro un anno, imposto da Germania e Francia, impensabile con una spesa pubblica che assorbe oltre il 50% del reddito nazionale. Per il pareggio il contribuente medio dovrebbe sopportare un’aliquota del 52%.

Se avverrà questo, l’Europa vedrà una crisi paragonabile alla grande depressione del 1929».

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