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Nuovi sospetti su don Vergari dal fratello della Orlandi Il sacerdote: «Sono tranquillo»

Nuovi sospetti su don Vergari dal fratello della Orlandi Il sacerdote: «Sono tranquillo»

diDice Gianluigi Nuzzi che «Maria», la fonte col nome in codice che gli ha passato le lettere riservate (molte quelle inviate da più persone a Benedetto XVI e al suo segretario particolare Georg Gänswein) che formano il corpo del suo ultimo libro Sua Santità (Chiarelettere) contro il quale la Santa Sede ha annunciato ieri di voler ricorrere per vie legali per «furto» e «ricettazione», nasconde in realtà più persone: seconde file all’interno della curia romana che trasportano all’esterno delle sacre mura leonine questi leaks al fine di portare finalmente alla luce situazioni di pesante omertà. In realtà in Vaticano pensano tutt’altro: la fuga di lettere e di documenti riservati è da ascriversi alla vecchia guardia, alla gestione del Vaticano prima dell’era del «non diplomatico» Tarcisio Bertone, oggi segretario di Stato. Sarebbero i fedelissimi del predecessore di Bertone, il cardinale Angelo Sodano che è cresciuto alla prestigiosa scuola diplomatica di piazza Minerva a Roma, a spingere, senza l’esplicita volontà dello stesso Sodano, per l’uscita di leaks il cui risultato in effetti è soltanto uno: screditare l’attuale governance, Bertone anzitutto, e poi più su il Papa.
Molte delle lettere del libro di Nuzzi sono riservatissime. Il segretario del Papa, probabilmente, dopo averle lette le ha passate dall’appartamento papale giù, in prima loggia, alla segreteria di Stato. Qualcuno si è intrufolato, le ha fotocopiate, e le ha diffuse. Chi? Una commissione ad hoc guidata dai cardinali Julian Herranz, Josef Tomko e Salvatore De Giorgi, sta indagando. Ma non è difficile sapere che non sono molti coloro che, proprio tra i dipendenti della stessa segreteria di Stato, possono accedere agli archivi.
La gestione «meno diplomazia e più Vangelo» di Bertone ha dato molto fastidio alla vecchia guardia. Parecchio, in verità, hanno contribuito anche gli errori dello stesso Bertone che soprattutto nei primi cinque anni dell’era Ratzinger non è riuscito a sostenere adeguatamente lo slancio profetico e illuminato del Papa. Non solo, egli ha promosso nei posti della curia romana storicamente in mano ai diplomatici, monsignori salesiani di nessuna esperienza romana acuendo in questo modo la distanza tra la sua governance e la vecchia leadership: le nomine di Domenico Calcagno da Savona all’amministrazione apostolica della Santa Sede, di Giuseppe Versaldi da Vercelli alla prefettura degli Affari economici, e di Enrico Dal Covolo dall’università salesiana alla Pontificia Università Lateranense, pur nell’indiscussa capacità dei tre vescovi, sono leggerezze che si pagano. Poi, certo, ci sono anche le new entry nello stesso appartamento: non solo i segretari del Papa ma anche le governanti. Ratzinger ha voluto quattro Memores Domini alla fedelissima Ingrid Stampa.
Il caso «Viganò» dice molto della battaglia interna che sta scuotendo la curia romana. Segretario del governatorato dal 2009, Carlo Maria Viganò, fedelissimo di Sodano, viene allontanato dalla curia romana prima della fine del suo mandato. Aspirava a prendere il posto che era del cardinale presidente Lajolo e invece si ritrova nunzio negli Stati Uniti. Viganò sostiene che è stato «fatto fuori» perché voleva fare pulizia delle mele marce che lucravano alle spalle del Papa, mele ovviamente affiliate a Bertone. Niente da fare: il Papa ha deciso e Viganò, dopo aver vergato due lettere esplosive finite presto sui giornali, se ne è dovuto andare. Se ne è andato nonostante in suo favore, e sostanzialmente contro Bertone, si siano spesi cardinali di peso, tutti della vecchia guardia: Giovanni Battista Re, ex prefetto dei vescovi che nel 2006 era dato tra i più accreditati a succedere a Sodano alla guida della segreteria di Stato, Gorges Cottier, proteologo della casa Pontificia, ma soprattutto Agostino Cacciavillan, anch’egli fedelissimo di Sodano, che ha inoltrato una lettera di fuoco direttamente al Papa.
E così Benedetto XVI, che più di altri lavora per la trasparenza e che riservatamente ha più volte auspicato che anche i casi più spinosi - non soltanto gli insabbiamenti sulla pedofilia ma anche la triste vicenda di Emanuela Orlandi sulla quale la procura intende indagare, col consenso della famiglia, non più per rapimento ma per omicidio - rischia di passare per colui che non vuole sollevare il velo di omertà entro le sacre mura. La verità sembra essere un’altra: due fazioni sono in lotta alle sue spalle, la vecchia guardia che il Papa ha voluto nei fatti esautorare una volta eletto al soglio di Pietro e la nuova della quale si è fidato ma dalla quale ancora non ha ricevuto i benefici che si aspettava.
È lui, Benedetto XVI, la vera vittima di questo stato di cose, lui che pare abbia però in mente un piano per uscire dall’impasse. Portare nel 2013 alla guida della segreteria di Stato un diplomatico capace di coagulare intorno a sé il consenso delle due fazioni.

Si fa il nome di Dominique Mamberti, attuale responsabile degli Affari esteri della stessa segreteria, ma all’ultimo anche altri nomi potrebbero essere presi in considerazione.

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