Politica

"Il nuovo Pdl? Ve lo raccontiamo noi donne"

Il ministro Meloni: "La militanza è il nostro dna, non deve insegnarcela Bossi". E dice no al partito leggero: "Preferire i salotti ai circoli sarebbe l’errore peggiore". Il ministro Gelmini: "Fi porta una ventata di novità, An l'organizzazione di partito. Insieme rafforzeremo l'azione riformista"

"Il nuovo Pdl? Ve lo raccontiamo noi donne"

Roma - Sorride: «In questo periodo sono di umore molto ecumenico... stiamo celebrando un battesimo importante, e sa com’è, alle cerimonie augurali non si litiga con nessuno». Però... Però Giorgia Meloni, alla vigilia della nascita del Popolo della libertà è chiamata in causa due volte. In primo luogo come ministro della Gioventù. E poi come presidente di Azione Giovani, l’organizzazione giovanile più grande della politica italiana. Così, il più giovane ministro della storia d’Italia, approfitta di questa intervista per piantare alcuni paletti intorno al perimetro del nuovo partito che immagina. E al primo punto pone un problema: «Le quote tra le diverse anime devono finire al più presto, subito dopo il congresso».

Ministro, molti iscritti di An soprattutto nella base, temono un annacquamento della vostra identità.
«Lo so, lo capisco, ma è un timore che non condivido».

La destra chiude bottega?
«No: la destra non è un partito, ma un’idea politica. Le identità non sono dettate dai contenitori che contengono, ma dai valori che le costituiscono».

Sicura che non ci siano rischi?
«Nessuno è sicuro a prescindere. La nostra identità non può essere affidata a un frammento di simbolo che si tramanda su una scheda elettorale».

E allora cos’è?
«Un patrimonio di idealità, storia, battaglie... e soprattutto una classe dirigente che offriamo alla nazione».

Cose che quel simbolo, la vostra fiamma, raccontava.
«Tutto questo non si mette in discussione con il nuovo partito, anzi: troverà una nuova linfa con cui rinnovarsi».

Allora non ci sono rischi nella fusione?
«Certo che ci sono: ma sono pari alle nuove opportunità che si creano».

Mi spieghi le opportunità che immagina.
«Vede, io non considero l’identità come un patrimonio statico: non è un lingotto d’oro che uno chiude dentro un caveau e che, anche dopo cento anni, ritrovi lì. E An non è una moneta d’oro dentro un galeone affondato. La nostra identità è in gioco, perché è viva: anche per questo bisogna avere chiaro cosa fare per tutelarla».

Lei non teme l’incontro con un partito leggero?
«C’è stata una affermazione di Berlusconi che non ho condiviso, in questi giorni».

Quale?
«Quella secondo cui noi dovremmo imparare dalla Lega il rapporto con la gente».

Glielo impedisce l’orgoglio?
«No, il buonsenso».

Addirittura.
«Vede, io rispetto loro, come tutti: ma il rapporto con la gente, non se lo è certo inventato la Lega!».

Nemmeno solo voi, però.
«E chi altri? Almeno nel centrodestra la militanza è la nostra storia: anni e anni di generazioni che si sono spese impegnandosi in piccole-grandi battaglie nelle periferie delle città e nelle più perdute province d’Italia».

Un partito di militanti dicono, potrebbe essere di freno per la società civile.
«L’errore più grande, nel nuovo partito, sarebbe discriminare chi viene dalla militanza».

Ovvero?
«Be’, ci sono migliaia di persone che hanno fatto politica e lavorato, in questi anni: chiaro che si debba preferire chi dà il suo contributo da una vita, rispetto a uno che si è fatto gli affari suoi, e magari pretende di improvvisarsi dal nulla».

Quindi il partito non deve essere più leggero?
«Dipende da cosa si intende per partito leggero: se si intende un partito capace di dotarsi di strumenti come circoli e gazebo per aprirsi all’esterno, va bene. Altra cosa è cedere all’idea che si debbano chiudere i circoli, perché magari ci si trastulla con l’illusione di potersi trasferire nei salotti e nei talk show. Noi, nel Pdl portiamo in dote la più grande organizzazione politica del centrodestra».

E questo cosa vuole dire?
«Che se la scelta fosse quella dei contenitore elettorale, ce ne saremmo restati tranquilli dentro la nostra casetta di An».

Ronchi è addolorato per le mail anti-Fini. Gasparri no. E lei?
«Non sottovaluto nulla. Però internet è uno strumento di indagine che può dirti molte cose interessanti, ma che non deve essere confuso con la realtà. Semmai mi preoccupa la scelta di pubblicizzare solo le mail negative».

Ho chiesto a Gasparri se trova che la quota del 30 per cento per An nei gruppi dirigenti sia un capestro.
«Voglio essere molto chiara: An non va a fare la corrente minoritaria del Pdl».

Lei lo dice con fermezza.
«Certo. Altrimenti ci tenevamo il nostro partito... Se mettiamo in gioco tutto è per fare qualcosa di più ambizioso, non di meno».

Questo cosa c’entra con le quote?
«Sono state uno strumento obbligato in una brevissima fase di transizione».

C’è chi dice che serviranno anche per le elezioni.
«Valuteremo. Se vogliamo che tutte le identità portino il loro contributo nessuno deve essere discriminato per la sua storia pregressa, ma per quello che vale».

E la fusione delle organizzazioni giovanili?
«Quello che dico vale ancora di più, senza riflessi burocratici».

Cosa produrrà l’alleanza Ag-Azzurrini?
«Un movimento giovanile serio, credibile. Capace di dare battaglia e di essere da pungolo per il Pdl.

Altrimenti non ha senso».

Commenti