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Ora per Monti il Pd è comunista E il partito in crisi ripesca Renzi

Ora per Monti il Pd è comunista E il partito in crisi ripesca Renzi

RomaChe s'ha da fare per campare. E soprattutto per vincere le elezioni.
A Bersani, per esempio, tocca andare a Canossa (ossia a Firenze) e puntare tutto su Renzi. E ieri, nella stracolma ObiHall del capoluogo toscano (tutto esaurito dentro, folla fuori davanti ai maxischermi, la manifestazione più affollata della campagna elettorale), si è assistito allo strano spettacolo dello sconfitto delle primarie che faceva da padrone di casa accogliendo il segretario a Firenze, benedicendolo («Saluto il prossimo presidente del Consiglio. E voi, lì davanti, non fate gesti apotropaici e sconvenienti»), chiamando da mattatore l'applauso e le risate dalla folla, assicurando «lealtà», negando ogni voglia di «rivincita» e tenendo il povero Bersani per mezz'ora appollaiato scomodamente su uno sgabello ad ascoltarlo. E ad applaudirlo, anche quando Renzi ha - con una punta di perfidia - ribadito uno dei suoi slogan delle primarie, al quale i benpensanti piddini avevano tentato di crocefiggerlo: «Dobbiamo darci da fare a stanare gli elettori delusi del centrodestra». In maniche di camicia, proprio come il sindaco di Firenze, Bersani stavolta batte le mani e annuisce.
I Pd Brothers: fin dal mattino il fotomontaggio dei Blues Brothers con le facce di Renzi e Bersani ha campeggiato sulla prima pagina del sito del Pd (nuovo colpo di genio pubblicitario della direttrice Tiziana Ragni), mentre la task force che nella sede del partito si occupa di orientare i social network ha iniziato a tambureggiare su Twitter e Facebook per celebrare la nuova fratellanza tra i due ex rivali, e far schizzare ai primi posti in classifica l'annuncio del comizio a due voci. In prima fila ad applaudire, per nemesi politica, i più acerrimi nemici di Renzi (il segretario toscano Manciulli, il governatore Rossi, il segretario fiorentino Mecacci) e molti di coloro che nella campagna delle primarie si sono distinti nella caccia a Renzi, e che ora lo indicano come salvatore della patria. «A Firenze Matteo Renzi indica la strada che il partito deve percorrere, insieme per un'Italia giusta», si commuove ad esempio Tommaso Giuntella, uno dei tre portavoce di Bersani durante le primarie.
D'altronde entrambi gli ex contendenti hanno le proprie buone ragioni per cercare l'abbraccio pubblico. Per il candidato premier del centrosinistra, Renzi è il jolly che può ridare smalto alla campagna elettorale: come analisti e sondaggisti stanno spiegando, il Pd ha già fatto il pieno dei propri consensi di appartenenza. E non bastano a vincere bene: per farlo, occorre «stanare i delusi» e gli incerti, i moderati e gli arrabbiati, e Renzi è la sirena che può attirarli verso il Pd. «Riconosco a Matteo di essere stato un grande protagonista dell'allargamento del Pd», è l'omaggio che Bersani gli rende.
Per il sindaco di Firenze, che ha imparato dalle primarie una dura lezione sulla incapacità del corpaccione ex Ds di accettare chi odori vagamente di eresia, è l'occasione per conquistare la simpatia della base ortodossa, in vista di una futura seconda chance. Cui apre anche Bersani: «Cosa farà dopo Matteo? Io faccio un giro e poi mi riposo, lui invece è molto giovane e ha tanta strada davanti». E gli lascia il compito di farsi paladino del Pd contro le frecciate di Mario Monti, che proprio ieri ha attribuito al partito di Bersani la data di nascita del Pci: «Dice che siamo nati nel 1921? Forse si è confuso con la sua carta d'identità, non con la nostra», lo fulmina Renzi. «Per mesi ha detto che sarebbe rimasto sopra le parti, e ora è nel ring della politica con persone molto lontane da lui.

Forse non ha capito che Fini non è quello dei tortellini, ma quello della Bossi-Fini».

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