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Il Pd osserva il caso Lega tra rimpianti e tentazioni

Cacciari rimprovera la leadership del partito: "Se si fosse strutturato su base federalista oggi avrebbe davanti a sè una prateria". A Via del Nazareno la parola d'ordine è tenere bassi i toni per attirare voti in uscita o stringere future alleanze. L'elettorato, però, non sembra sensibile alle sirene del centrosinistra.

Il Pd osserva il caso Lega tra rimpianti e tentazioni

«Sciagurati, non si sono mai dati una struttura federalista e adesso sono lontani dal territorio». Massimo Cacciari, in una intervista a La Nuova Venezia, apre il capitolo dei rimpianti del Partito Democratico rispetto alla crisi leghista. «Se qualche testone di dirigente dei Ds e poi del Pd mi avesse dato retta - sottolinea - e avesse creato una struttura federalista, adesso avremmo di fronte una prateria immensa, il partito federalista del Nord sarebbe a portata di mano, come succede in Baviera in Catalogna».
Quella dell'ex sindaco di Venezia è soltanto l'ultima riflessione sul caso Lega visto da sinistra e analizzato nell'ottica del partito di Via del Nazareno. Quel che è certo è che dopo le prime 48 ore di baccanali mediatici e di festeggiamenti, i vertici del partito di Pierluigi Bersani hanno imposto una brusca frenata e ordinato il dietrofront. L'imperativo è diventato: non infierire ed evitare di gettare benzina sul fuoco. Una indicazione, quella della linea morbida da adottare nei confronti del Carroccio, che tiene conto sia del legame ancora profondo che il partito di Umberto Bossi ha con i suoi elettori sia del timore di trasformare la Lega in una vittima, in una forza che possa rivitalizzarsi in questa fase ribaltando l'offensiva giudiziaria a proprio favore.
Nel Pd c'è infatti chi ritiene che la Lega, assumendo un profilo meno estremo e presentabile, possa nel giro di alcuni mesi ribaltare le difficoltà del momento e trovare il modo di riprendere il dialogo con un elettorato come quello del Nord sempre più alla ricerca di rappresentanza. Inoltre come faceva notare nei giorni scorsi il quotidiano Europa, il Pd da sempre subisce una sorta di fascinazione da parte della Lega. Ne percepisce l'anima proletaria e coltiva la tentazione di creare un ponte, un collegamento di un qualche tipo. «Si tifa per Maroni leader, come se sotto la guida di Bobo la Lega possa diventare un interlocutore del centrosinistra» scriveva il quotidiano nei giorni scorsi. Al contrario, il rischio è che la «nuova Lega» diventi «un grimaldello per indebolire e scardinare il fronte di centrosinistra e metterlo all'angolo», per poi tornare all'alleanza con il Pdl. Di certo dentro il partito erede del Ds e della Margherita c'è chi vagheggia la possibilità di futuri accordi sul territorio, con alleanze a geometria variabile e a macchia di leopardo, come quelle strette con l'Udc. E c'è anche chi pensa di offrire accordi di desistenza al Carroccio in modo da tagliare fuori dal gioco il Pdl. Una ipotesi che non convince affatto i cattolici del Pd. Questi calcoli e questi ragionamenti, però, non sembrano tenere conto dell'evoluzione dell'elettorato del Carroccio che ha sviluppato una identità più definita e meno compatibile con la tradizione storica del Partito Democratico, come fotografato dal rapporto dell'Istituto Cattaneo che ha certificato come la Lega sia sempre più un partito «di destra». I tempi e le modalità di ricaduta del terremoto che ha investito Via Bellerio sono, insomma, ancora difficilmente calcolabili.

E bisognerà attendere le ultime scosse di assestamento e il risultato delle prossime amministrative per riannodare i fili e definire una chiara prospettiva politica.

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