Politica

Pdl compatto: basta sconti al governo

La strategia dopo la sentenza della Consulta: inflessibili sull'economia. E la giustizia torna un nodo chiave

Né falchi né colombe. Soprattutto nessuno struzzo. Il Pdl è un monolite. Tutti a far quadrato attorno al leader, impallinato dalla Corte costituzionale. Mercoledì notte, palazzo Grazioli: attorno a Berlusconi si stringono i big del partito e i ministri. C'è Gianni Letta, c'è Alfano con Lupi, Quagliariello, De Girolamo e Lorenzin; c'è Verdini con Santanchè e Brunetta; ci sono Schifani, Gasparri, Gelmini, Cicchitto e Ghedini. Berlusconi è abbattuto ma non battuto. Anzi, lo descrivono «pragmatico e determinato». In fondo, si sapeva e temeva che sarebbe finita così. Fine della trasmissioni? Per nulla.

Il vertice della solidarietà si trasforma in un consiglio di guerra. Il cui esito è una strategia che muterà la navigazione del governo Letta. Va bene la nota iper responsabile del Cavaliere a caldo; ma «ora si cambia musica». L'assalto finale dei giudici avrà come diretta conseguenza l'innalzamento dell'asticella su ogni provvedimento che il Pdl giudica imprescindibile. L'economia su tutto. Verdini parte con un'analisi lucida e spietata. Il senso: la responsabilità delle larghe intese ha garantito soltanto che le procure stringessero con comodo il cappio attorno al collo di Berlusconi. Ora i giudici faranno filotto per uccidere definitivamente il Cavaliere. Berlusconi ammazzato politicamente con il Pd che ringrazia i magistrati per il gioco sporco. Nessuno eccepisce alcunché, tutti annuiscono. Che fare? «Il governo vada avanti ma d'ora in avanti nessuno sconto a Letta jr» è quello che esce dalla riunione.

Brunetta traccia il ruolino di marcia dei provvedimenti su cui il Pdl non transigerà più: abolizione dell'Imu con relativo riordino del fisco; stop certo all'aumento dell'Iva; detassazione completa per i neo assunti. O così o... Il governo rischia il patatrac. Brunetta parte lancia in resta: «No, Silvio. Adesso non ti ascolto più. Mi chiamavi per dirmi di essere più morbido, più moderato. Adesso - scuote la testa il capo dei deputati pidiellini - scusami ma non ti do più retta». Davanti alla prospettiva di cambiare atteggiamento nei confronti dell'esecutivo non ce n'è uno, nemmeno tra i ministri, che obietti qualcosa. Forse Cicchitto è quello che, tra tutti, pigia di più il tasto della cautela mentre la Biancofiore annuncia già il «ricorso alla Corte europea dei diritti». Gli altri sono compatti sulla linea «ora niente più sconti». Lo è la Gelmini che dice che «Berlusconi non deve lasciare il campo». Lo è pure Quagliariello che, dipinto come super colomba, stupisce tutti quando prende la parola. Ieri il suo pensiero reso esplicito: «Non possiamo far finta di niente. Il nodo giustizia si ripresenta. Le parole di Berlusconi hanno responsabilmente distinto il governo dai suoi processi ma ora il problema della magistratura, causa della caduta del primo governo Berlusconi e del governo Prodi, torna a galla». Non solo: «Ora tutto diventa più difficile. E le risposte devono arrivare dall'intero governo». Come a dire: caro Letta, ringrazia i giudici. Ora ti smazzi pure la soluzione del problema dello strapotere dei giudici, altrimenti...

L'«altrimenti» significa «a casa». Ma un conto è far cadere il governo, un altro tornare al voto. Lo sanno tutti ma nessuno si spaventa: «Un governo Pd-M5S? Sarebbe un governo delle tasse, della recessione, del fallimento dell'Italia. Ci sarebbe la rivolta di chi tiene in piedi il Paese e avremo la nostra rivincita schiacciante». Un centrodestra guidato da chi? Da Berlusconi, naturalmente.

A furor di popolo.

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