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Il Pdl mette alle strette l'alleato: basta oscillazioni

Coi membri del governo Alfano discute le mosse per contrastare il giustizialismo del Pd

Il Pdl mette alle strette l'alleato: basta oscillazioni

Roma - Prima il muro contro muro, più a beneficio dei talk show televisivi e di quel quarto d'ora di celebrità che non si nega a nessuno. Quindi l'apparentemente infinito braccio di ferro. Ma quella tra Pdl e Pd è una partita delicatissima che si gioca sul filo dei nervi, e se atti di guerra non mancano (come sottolinea l'ex guardasigilli Nitto Palma), l'imperativo per entrambi è sempre più «non restare con il cerino in mano». Fare in modo che l'avversario molli un attimo dopo, assumendosi la responsabilità del disastro.
Così anche ieri è mancato alla fine l'uppercut decisivo al governo Letta, segnalando che nella realtà nessuno dei due alleati vuole davvero rompere. Come nelle guerre peggiori, come a Sarajevo nel '14, solo l'inconsapevole gesto di un folle, di un fanatico, può spezzare davvero la tela, costituire la scaramuccia che scatena le potenze. Prova ne sia anche la riunione che il segretario Angelino Alfano ha tenuto ieri mattina con i ministri Pdl. Certo: fare il punto della situazione, verificare gli equilibri delle mediazioni in corso, serrare le fila, ma anche coordinare l'attività del governo e i prossimi provvedimenti che il centrodestra intende far approvare al più presto per attuare il programma. Tutto il contrario, insomma, dell'aria di smobilitazione, di fine del mondo, di «muore Sansone con tutti i filistei» che si respirava dalle parti di Sant'Ivo alla Sapienza, sede della Giunta. E che ancora ieri pomeriggio Fabrizio Cicchitto definiva come «ultima spiaggia per trovare un'intesa».
L'accelerazione data dal Pd in virtù dei propri problemi interni («sembra che ognuno vada per conto suo, e segua una sua personale strategia») non è aliena anche da un'implicita pressione dei grillini, specie sul versante dei mass media. Così quelle pregiudiziali - prassi per la Giunta, quando opera come organo giurisdizionale - che dovevano costituire il banco di prova del Pd per concedere agibilità politica all'alleato Berlusconi, sono diventate, accusano i pidielle, l'opportunità per una tentata «esecuzione politica» del Cav seduta stante. La frenata intervenuta ieri ha così segnalato, come dice Brunetta, quel sottile confine, quel «bivio tra follia e buonsenso» davanti al quale il Pd non sa decidersi. O, per dirla più chiaramente con Giuseppe Esposito, per rispondere una volta per tutte alla domanda cardine: «Il Pd è per la legalità o per il giustizialismo?».
Ma intanto Michaela Biancofiore ancora si stupiva perché la Giunta «si permette di giudicare prima che l'uomo Berlusconi possa adire in tutte le sedi previste dall'ordinamento», dichiarandosi letteralmente «fuorilegge». E non è sfuggito affatto il significato particolare della frase che Alfano ha consegnato di buon mattino alle agenzie, il suo restare «esterrefatto» (ripreso per tutta la giornata da siti e tv) davanti al comportamento del Pd che «pur di eliminare per via giudiziaria lo storico nemico politico, preferisce mettere in ginocchio il Paese... Tutto ciò è incredibile e insopportabile». Toni che fanno capire come i continui ondeggiamenti del Pd vengano visti dall'alleato di governo con un disappunto che accresce l'inquietudine ma è vicino ormai allo sgomento.

O persino, per qualcuno, a un inatteso e doloroso «tradimento».

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