Politica

Bersani sotto assedio si rifugia nei proverbi

Nervoso e imballato, è costretto a giocare in difesa. Ma sul finanziamento pubblico ai partiti fa autogol

Il fermo immagine tratto da Raiuno mostra Pier Luigi Bersani
Il fermo immagine tratto da Raiuno mostra Pier Luigi Bersani

Roma - Alla fine del match (il primo, e anche l'unico accettato dal leader Pd) si capisce meglio perché il Pd côté Bersani si sia così incaponito, a costo di pagare anche un prezzo di immagine, a blindare le urne del secondo turno.
Bersani non inciampa, dà spesso l'idea di sapere di che parla e di poter essere un affidabile amministratore delegato (si è anche vestito all'uopo, abito scuro e cravatta rossa a disegnini) ma chi buca il video e scalda la platea è Matteo Renzi. Ed è facile immaginare che, dei due visti ieri sera, quello più capace di portare gente nuova al voto sia lui.
Un po' di nervosismo, dietro l'aria pacata e la voce piana, Bersani lo lascia trasparire dalla gestualità - più accentuata del consueto - e dall'uso compulsivo di metafore: già nelle prime due risposte inanella l'invenzione dell'acqua calda, l'andare a messa o stare a casa e pure una citazione tedesca, coniata dal capo dell'Spd Gabriel (anche per fare notare al fiorentino che lui gira il mondo e si da' del tu coi leader). Il proverbio teutonico suona così: «Meglio un passerotto in mano che un tacchino sul tetto» (si parlava di recupero dell'evasione fiscale). Poi, come tutti i buoni motori diesel, Pier Luigi Bersani si scalda e acquista man mano più sicurezza, e anche una punta di aggressività verso lo sfidante, bacchettato perché «va a dire in giro che Equitalia l'ho inventata io». Si capisce che l'idea che vuol dare è quella di un leader sicuro, sperimentato, senza fronzoli ma pieno di buon senso e capace di affrontare problemi concreti. «Ci vuole una Maastricht fiscale», e nel Medioriente «bisogna parlare con tutti i moderati», e «siamo un organismo unico, Nord e Sud, e quel che serve all'Italia è di per sé meridionalista", e bisogna combattere la mafia che è «la più grande industria del Paese» (questa è anche per Roberto Saviano, che ha rimproverato ai candidati di non aver parlato di crimine organizzato) e assicura che saprà «tenere insieme i liberali alla Monti con la sinistra» di Vendola, scaldandosi quando giura, zittendo Renzi, che «possiamo garantire alla Ue e al mondo che siamo in condizione di governare». E lo accusa di «usare gli argomenti del centrodestra».
Ma fin dalle prime battute la tecnica soavemente aggressiva di Renzi (che non perde occasione per ricordargli che lui al governo c'è già stato, e per ben «2.547 giorni», e per ricordare i pasticci combinati dal centrosinistra) lo costringe a giocare in difesa, ad inseguire, a chiedere repliche. Lo scambio serrato sul finanziamento pubblico lo dimostra: Renzi attacca a testa bassa sul taglio dei costi della politica, citando il mitico tesoriere Ds Sposetti e chiedendo l'abolizione tout court dei soldi ai partiti. Bersani dice: son d'accordo su tutto tranne che su un punto, «dai tempi di Pericle la democrazia ha avuto un sostegno pubblico, e non mi rassegno all'idea che solo i ricchi possano far politica».

Il sindaco lo infilza: «Da Pericle a Fiorito c'è un bel salto».

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