Politica

Il pm «amico» dei boss ora rischia la condanna

Il presunto boss Lo Giudice contro Alberto Cisterna (nella foto), il giudice. In mezzo una Procura che rischia di saltare in aria (metaforicamente) dopo aver rischiato di farlo realmente a causa della strategia bombarola della 'ndrangheta nel 2010. Ora l'ex braccio destro di Pietro Grasso all'Antimafia potrebbe essere condannato a due anni (per calunnia) al processo con rito abbreviato in corso a Reggio Calabria. Ufficialmente è un giudizio contro un poliziotto che ha redatto un rapporto sulle frequentazioni di Cisterna con la famiglia dei Lo Giudice, decapitata come tante altre cosche dalla guerra di mafia in riva allo Stretto a metà degli anni Ottanta e oggi al centro di una intricata vicenda con pentiti che si accusano a vicenda degli attentati alla Procura generale, poi ritrattano non senza accusare pm e poliziotti. In ballo c'è però la credibilità di un magistrato, che dopo queste accuse è stato trasferito per incompatibilità. Cisterna, nato a Reggio, non ha mai negato la frequentazione con la famiglia in odor di 'ndrangheta: «Li conosco perfettamente e millimetricamente. Li ho fatti arrestare io dopo l'omicidio del capofamiglia Salvatore e ho gestito il pentimento di Maurizio Lo Giudice. Ma la cosca non esiste più dal 1991, lo dice anche la Dia». Per Cisterna c'è una macchinazione ai suoi danni. Naturalmente ha tutto il diritto di difendersi e quasi certamente avrà ragione.

Ma va detto che un politico calabrese, con accuse così pesanti, sarebbe già in galera.

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