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Per i 7mila dipendenti della Banca d'Italia l'austerità è già finita

Per i 7mila dipendenti stipendi bloccati nel 2010 insieme a quelli degli statali. Ma la manovra fa ripartire gli aumenti

Per i 7mila dipendenti della Banca d'Italia l'austerità è già finita

Roma - I sindacati di Palazzo Koch ancora non si fidano. «Sì, è vero. Abbiamo visto che nella legge di Stabilità si chiarisce che siamo esclusi dal blocco della contrattazione del pubblico impiego. Ma il blocco, deciso in autonomia dal Direttorio nel 2010, lo si fece sulla base del decreto milleproroghe. E non escludiamo che nel prossimo milleproroghe di fine anno, il suggerimento venga riproposto». Luigi Leone, storico leader sindacale della Falbi, resta dunque scettico. Sembra che conti di più sulla pronuncia della magistratura ordinaria, presso la quale i sindacati di Bankitalia hanno presentato ricorso contro il blocco del 2010.

Quel blocco dei contratti, e dunque degli stipendi, i dipendenti del «tempio del rigore» non l'hanno mai mandato giù. Si considerano una elite dell'amministrazione, e rivendicano un trattamento economico adeguato. Dall'esterno, e soprattutto dai travet del pubblico impiego, vengono visti come «panda» iperprotetti e superprivilegiati. Non che abbiano tutti i torti. Diamo un'occhiata ai trattamenti economici di base, dal governatore in giù. Ignazio Visco s'è sforbiciato lo stipendio del 10% (non era obbligato a farlo, bisogna riconoscerlo) e porta a casa 496mila euro l'anno. Guadagna 120 mila euro in più di Mario Draghi, che alla guida della Bce riceve 375 mila euro. E 300mila euro più di Janet Yellen, prima donna a presiedere la Federal Reserve americana, che si ferma a 150 mila euro. Considerati i compiti dell'uno e degli altri, si può dire che Bankitalia sia piuttosto generosa con il suo numero uno.

Passiamo al direttore generale Salvatore Rossi, che guadagna 450mila euro, mentre i quattro vicedirettori generali si fermano a 315mila euro. Un funzionario generale porta a casa 130 mila euro, e così via a scendere. In media ciascuno dei 7.069 dipendenti di via Nazionale 91 e delle filiali costa alla banca più di centomila euro. I dirigenti sono 606, i funzionari 1.449, i coadiutori 1.317, gli altri dipendenti 3.697. Il monte stipendi, più oneri vari, per il personale in servizio ammonta nel 2012 a 747 milioni di euro, con un risparmio di circa 6 milioni rispetto al 2011. Per pensioni e indennità di fine rapporto si sono spesi l'anno scorso 323 milioni di euro abbondanti.

Dal 2010, la contrattazione dei 7mila dipendenti della banca centrale è ferma. «È stato deciso su base autonoma dal direttorio, dove sedevano Draghi e Saccomanni - ricorda il sindacalista -: la legge milleproroghe diceva infatti che la Banca d'Italia terrà conto nella propria autonomia delle disposizioni di legge. Loro hanno deciso senza consultarci, così è partito il ricorso alla magistratura». Ora la legge di Stabilità sblocca, salvo sorprese, la contrattazione. In punta di diritto, Bankitalia è fuori dal perimetro della pubblica amministrazione e gode della larga autonomia concessa dal Trattato di Maastricht. Ma, dal punto di vista «estetico», non pare bello che proprio nel tempio dei guardiani del rigore non valga il blocco degli aumenti di stipendio, come in un ufficio pubblico qualsiasi dove le retribuzioni sono molto, molto inferiori.

È vero: in Banca d'Italia si entra solo per concorso, e le prove sono molto difficili. Ma, una volta dentro, non c'è precariato, non ci sono stipendi da mille euro al mese, non ci sono licenziamenti per motivi economici, non c'è cassa integrazione, non ci sono stati di crisi.

Un'occhiata a quanto accade nel resto d'Italia, fuori dalla sale di Palazzo Koch, non farebbe davvero male.

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