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Processo Unipol/Bnl: Fassino unica "vittima"

Il ministro della Giustizia ha dato mandato all’avvocatura dello Stato di non costituirsi parte civile nel processo in corso a Milano contro Berlusconi. Motivo: la giustizia non subì danni economici né di immagine dalla fuga di notizie

Processo Unipol/Bnl: Fassino unica "vittima"

Piero Fassino resterà da solo a sostenere il ruolo della vittima nel processo a Silvio Berlusconi per la fuga di notizie sulla telefonata in cui l’attuale sindaco di Torino, allora leader dei Ds, festeggiava («Allora abbiamo una banca!») la scalata alla Bnl da parte di Unipol. Il nuovo ministro della Giustizia, Paola Severino, ha dato infatti mandato all’avvocatura dello Stato di non costituirsi parte civile nel processo in corso a Milano contro il Cavaliere. Motivo: l’amministrazione della giustizia non subì nè danni economici nè rilevanti danni di immagine da quella fuga di notizie, sfociata nella pubblicazione sul "Giornale", nel dicembre 2005, del contenuto della conversazione di Fassino con Giovanni Consorte, presidente di Unipol.

Berlusconi è stato rinviato a giudizio al termine di un batti e ribatti tra la Procura di Milano, che aveva chiesto il suo proscioglimento al termine delle indagini, e il giudice preliminare che lo ha indicato come il mandante della pubblicazione. Come comportarsi davanti a questo processo? Paola Severino, appena arrivata alla guida del ministero, ha dovuto sciogliere anche questo dilemma, ed in tempi stretti, perché i termini scadevano.

Non è stata, a quanto è dato capire, una scelta facile. I predecessori della Severino nei governi di centrodestra, Antonino Alfano e Nitto Palma, non si erano ritrovati con la patata bollente in mano, perchè la Procura aveva chiesto l'archiviazione della posizione del loro premier. Invece il ribaltone che ha spedito il Cavaliere a giudizio per "concorso in rivelazione di segreto d'ufficio" è arrivato quasi in contemporanea con la nascita del governo Monti e la nomina della Severino a ministro. Che la scelta fosse rilevante è evidente: con la costituzione di parte civile, il ministro avrebbe puntato il dito apertamente contro l'ex presidente del Consiglio, e avrebbe posto le premesse per una pesante richiesta di risarcimento di danni in caso di condanna.

Per sciogliere il nodo, il Guardasigilli ha chiesto il parere al suo ufficio affari di giustizia. Il problema è che anche il capo di questo ufficio, il magistrato di Cassazione Eugenio Selvaggi, era appena arrivato in via Arenula, nominato proprio dalla Severino. E gli è toccato orientarsi rapidamente nella materia, analizzando i precedenti. Un lavoro, secondo quanto si è potuto capire, fatto piuttosto in fretta, e sulla base solo di una parte dei casi analoghi verificatisi in passato. Netto comunque il responso finale: il ministero si sarebbe potuto costituire al processo se lo scoop del "Giornale" gli avesse causato danni economici, o se avesse gravemente scombussolato le indagini.

E questo, a parere della Severino e del suo staff, non è certo stato il caso della telefonata tra Fassino e Consorte, passata al "Giornale" - secondo le indagini della Procura milanese - da uno dei tecnici incaricati delle intercettazioni. Per eventuali danni di immagine legati «al regolare esercizio delle funzioni giudiziarie», a potersi presentare come vittima - secondo una sentenza della Cassazione del 2010 - sarebbe stato semmai non il ministro della Giustizia ma l'attuale presidente del Consiglio Mario Monti.

Ma anche lui se ne è guardato bene.

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