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Prodi "rinuncia" al Colle. Ma è soltanto una finta

L'ex premier dice di non puntare più alla presidenza della Repubblica: "The game is over". Intanto però torna in pista e cerca visibilità sperando che Re Giorgio abdichi

Prodi "rinuncia" al Colle. Ma è soltanto una finta

Io? Sul Colle? Ma no, ma che, ma dai, ma non scherziamo nemmeno. «Come si dice, the game is over». No, non sarò io il prossimo presidente della Repubblica, giura Romano Prodi, non ci penso neanche, quel treno l'ho perso e non ritorna più. «La gara è finita, sono tutti giovani, tutti nuovi, quindi uno deve capire quando è il proprio tempo e quando il proprio tempo è passato».

Il solito ghigno, la solita smorfia con la boccuccia, il Professore spunta in tv ad Agorà e smentisce di essere ancora in pista per il Quirinale. Anche perché non è ben chiaro quando la poltrona sarà libererà: Giorgio Napolitano non finirà il mandato, lui stesso l'ha detto più volte. Però, salvo ripensamenti o improvvisi cambi di scenario, probabilmente non si dimetterà prima di vedere stabilizzato il quadro politico e avviate le riforme. Prodi, comunque, sostiene di non essere interessato. Ci era arrivato davvero vicino, nell'aprile dell'anno scorso, prima che i 101 franchi tiratori del Pd lo impallinassero, e forse è ancora scottato dal tradimento dei suoi. Però è singolare che, in un convegno di Nomisma, torni sull'argomento proprio nel giorno del debutto parlamentare di Matteo Renzi. Vuole fargli ombra? Vuole mettergli il cappello sopra? O vuole soltanto rimettersi in pista?

L'ex premier infatti non si nasconde, anzi fa di tutto per mettersi in mostra. Accarezza Renzi contropelo: «I leader migliori? Non devono essere dei geni, ma aver coerenza e lungimiranza. Devono saper fare squadra». Spiega cosa dovrebbe fare il governo: «Deve far passare il messaggio che farà un lavoro serio e che dura nel tempo, che piano piano il Paese si normalizza. E non c'è bisogno di fretta, di farlo in un giorno». Difende la continuità, quasi rimpiangendo Enrico Letta: «La costante rotazione politica è un enorme handicap per l'Italia». Fornisce consigli non graditi su come ridurre il debito pubblico: «Se non si va verso la riduzione, avremo sempre uno zaino pesante sulle spalle. Ma se il governo fa la formichina, i mercati cominceranno ad apprezzarlo». Dice la sua pure sull'Europa: «L'Ue ha paura di tutto. Il suo problema è sopravvivere».

Una ricerca di visibilità che sfocia quasi in una voglia di protagonismo e riaccende così recenti sospetti. L'ex presidente della Commissione, dopo lo smacco nella corsa al Quirinale, ha avuto un lungo periodo di letargo ma da qualche settimana ha ripreso ad esternare con continuità. Non sarà, hanno pensato in molti, che si è rimesso sulla linea di partenza? Magari si sarà fatto due calcoli: se Napolitano lascia, lui potrebbe essere eletto da Pd e Cinque stelle, che in questo Parlamento hanno insieme una larghissima maggioranza.

Da qui gli auguri interessati a Matteo di lunga durata: «Questo è un governo giovane e, con i progressi della medicina, i ministri in carica possono durare anche un secolo». Bisogna vedere che ne pensa Renzi, capire se, dopo Napolitano, gradirebbe il peso di un capo dello Stato ingombrante e invadente come Prodi. E poi, il Professore ha fatto i conti senza l'oste del Colle. «Sono state diverse e opposte forze politiche», ha ricordato Napolitano a Capodanno, a chiedermi di restare ancora e a «rieleggermi con il 72 per cento dei voti». Quindi, ha precisato, «resterò presidente fino a quando la situazione del Paese e delle istituzioni me lo farà ritenere necessario e possibile, e fino a quando le forze me lo consentiranno. Fino ad allora e non un giorno di più, e dunque di certo solo per un tempo non lungo».

Da allora la linea non è cambiata.

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