Cronache

Purezza minimal per Celine E Kenzo si dà all'oro d'Oriente

Vince la sobrietà sulla passerella dello storico marchio francese. Richiami ai templi buddhisti nella collezione dell'altro grande brand del gruppo Lvmh

Purezza minimal per Celine E Kenzo si dà all'oro d'Oriente

Nuvole e ciuffi di lana, il sedere delle Tre grazie del Canova e di altre statue in marmo, una serie di volti ieratici dipinti da grandi fiamminghi tipo Memling, Van Eick, Rubens e Bruegel il vecchio. Ecco le fonti d'ispirazione della meravigliosa collezione Celine per il prossimo inverno in passerella ieri a Parigi nella mastodontica palestra del tennis club dove un tempo sfilava Helmut Lang. Inevitabile il paragone con l'insuperabile designer austriaco che nel 2005 ha mollato la moda per dedicarsi all'arte e alle coltivazioni biodinamiche nei pressi di New York. Vince alla grande Phoebe Philo, la quarantenne stilista inglese chiamata nel 2008 da Bernard Arnault per ridare vita allo storico marchio francese controllato dal Gruppo Lvmh (Louis Vuitton Moët Hennessy). Nota per il suo minimalismo concettuale a volte molto eccentrico, Phoebe saggiamente vira su una nuova sobrietà: più dolce e per così dire umana della lucida perfezione che ha traghettato Celine nella modernità. Il risultato è fenomenale, perfino i modelli con lo strano motivo a quadrettoni delle borse di plastica dei Vu cumprà hanno la confortante solidità del vero lusso.
La sfilata inizia con una serie di capi (gonna a godet e blusa, cappotto avvolgente con martingala spostata verso l'alto oppure abito senza maniche) in lana accorpata a neoprene color marmo delle Apuane. Da lì si scivola al rosa di Candoglia del paltò in alpaca presentato anche in una stupenda variante verde prato. Il resto è nero, grigio, blu e color castoro per i due abiti in visone rasato. Tutto è tagliato con geometrica precisione per discostarsi dal corpo ma senza alcuna rigidità. L'estrema pulizia dei capi è simmetrica a quella dei gioielli: collane e bracciali fatti da un filo d'oro o d'argento con una grafica palla di pietra al centro. In mano una pratica busta a misura di Ipad, ai piedi alti stivaletti che in certi casi si allungano fino a diventare dei pantastivali, l'attitudine calma e compassata di chi non sbaglia un colpo.
Tutta diversa, ma ugualmente centrata e soprattutto vendibile, la collezione Kenzo disegnata da Carol Lim e Humberto Leon, magico duo di fondatori del concept store di culto Open Ceremony che dal 2011 ha la direzione creativa del brand sempre controllato dal Gruppo Lvmh. Americani, di origini coreane (lei) e cino-peruviane (lui), i due hanno immaginato di ricostruire le guglie dorate dei templi buddisti sparsi in tutto il sud est asiatico con i coloratissimi nastri di gros grain recuperati nell'archivio di Kenzo. Escono così forme nuove tipo l'abito a X sui leggings di broccato, ma anche tanti solidi capisaldi del guardaroba come il cappotto a kimono oppure il tailleur con giacca a blouson. Onnipresente il motivo dell'occhio di Buddha che nei templi ha la funzione di controllare e rassicurare, mentre qui si limita a decorare oggetti facilmente vendibili come la felpa destinata a bissare il planetario successo del modello con il muso di tigre.
Anche Ennio Capasa per la strepitosa sfilata di Costume National s'ispira a qualcosa che viene da Oriente: i costumi della tribù dei Miao che vive nel sud della Cina. «Sono più che altro forme e dettagli: il gonnellino tagliato in vita sui pantaloni, le asimmetrie, il geometrico aplomb delle loro cappe» avverte il designer prima di far sfilare la sua moderna rilettura dell'etnico in salsa sartoriale. Bellissimi tutti i cappotti con una curiosa allacciatura a pannelli sul davanti e formidabile il mix dei materiali (pelle, pelliccia, panno pesante e tessuto tecnico) esaltato da una sublime alternanza di nero e blu che alla fine forma il colore della mezzanotte. Da Jean Paul Gaultier è tutto un patchwork di cose ed emozioni: la stampa a ombre cinesi con le lettere bianche, rosse e gialle intarsiate nel visone nero; le mille pellicce in una; lo stile inconfondibile degli anni Ottanta e l'emozione di un'altra sfilata nella Salle Wagram, il settecentesco salone da ballo della scena finale di Ultimo tango a Parigi. «Ho debuttato qui 38 anni fa - racconta l'adorabile stilista francese - ci ho fatto 40 defilé prima di trovare altre location e poi la mia sede. Sono tornato perché inizio un nuovo capitolo: torno a produrre la mia moda con Gibò, l'azienda che mi ha lanciato». Non sono più i tempi, ma lui è sempre lui: un grande che pochi capiscono. Peggio per loro.

Loewe, marchio spagnolo controllato dal gruppo Lvmh (Louis Vuitton Moët Hennessy), ha presentato una collezione ispirata alla città di Bilbao, fondata nel quattordicesimo secolo e faro di una modernità sofisticata e bohémienne. In contrasto con i rustici colli della campagna basca. Cappotti e camicie over evocano le forme architettoniche del celebre Guggenheim di Bilbao e accanto alla soffice nappa per cui è famoso il brand c'è un massiccio uso del montone che i modaioli chiamano shearling.


di Daniela Fedi

da Parigi

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