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Quei 40 milioni della Lega Bossi e i figli verso il processo

La Procura di Milano vuole il rinvio a giudizio per il Senatùr, Renzo e Riccardo Stessa richiesta per l'ex tesoriere Belsito. Archiviazione in vista per Rosi Mauro

Quei 40 milioni della Lega Bossi e i figli verso il processo

E meno male che due anni fa i revisori di Camera e Senato si accorsero che qualcosa non tornava, in quel vorticoso balletto di spese. Se così non fosse stato, il conto oggi sfiorerebbe i 60 milioni di euro. E invece, bontà loro, si è fermato a 40. Quaranta milioni di euro che l'ex segretario della Lega Umberto Bossi, il tesoriere Francesco Belsito, i membri del comitato di controllo contabile dei lumbard Stefano Aldovisi, Diego Sanavio e Antonio Turci, avrebbero ottenuto come indebiti rimbosi elettorali per il Carroccio nel 2008 (22,4 milioni) e nel 2009 (17,6). Nel 2012, invece, vennero bloccati altri 17 milioni. E così, per Senatur e soci arriva la richiesta di rinvio a giudizio con l'accusa di appropriazione indebita e truffa ai danni dello Stato. Ma a rischiare il processo sono anche i figli di Bossi, Renzo «il Trota» e Riccardo, per centinaia di migliaia di euro di denaro pubblico spesi per pagarsi le auto, le multe, la benzina, i vestiti, un minimo di bella vita e la famosa laurea albanese. È vicina ad uscire dall'inchiesta, invece, Rosi Mauro, per la quale la Procura ha chiesto l'archiviazione. «Le spiegazioni e i documenti forniti - scrivono il procuratore aggiunto Alfredo Robledo e i sostituti Roberto Pellicano e Paolo Filippini - rendono assai dubbia la solidità della prospettazione accusatoria».

«Non ho mai ricevuto denaro dal tesoriere», si legge nel verbale reso dalla Mauro ai pm dopo la chiusura delle indagini. La matrice con il suo nome? «Una modalità di Belsito per ritirare denaro contante attribuendolo ad altri». L'assegno da 16mila euro? «L'ho incassato, ma i documenti dimostrano che corrisponde al prezzo dell'auto che ho venduto alla Lega». E la laurea albanese della guardia del corpo Pierangelo Moscagiuro? «Io di questa laurea non ho mai saputo un granché,(...) non è da escludere che Belsito abbia approfittato di questo fatto delle lauree per monetizzare denaro in suo favore». Una versione, quella dell'ex vicepresidente del Senato, che convince gli inquirenti.

Le diciotto pagine di richiesta di rinvio a giudizio, invece, raccontano quello che per la Procura fu un uso del tutto personale - o al limite, familiare - del partito. Una dietro l'altra, centinaia di voci di spesa che poco o nulla hanno a che fare con l'attività politica. Tra le più suggestive, ci sono i 77mila euro per l'acquisto della laurea albanese di Renzo Bossi, o ancora i 48mila spesi dal Trota per un'Audi A6, oltre alle decine e decine di multe pagate dal partito al Giovane Renzo, costato alla Lega un totale di 145mila euro. Ma non è stato da meno il fratellastro Riccardo, per il quale via Bellerio ha sborsato 157mila euro in sanzioni per violazioni del codice della strada, spese di carrozzeria, benzina, «uno o più garage», rate dell'università dell'Insubria, luce e gas per la propria abitazione, contributi per il mantenimento dell'ex moglie, 14mila euro per l'affitto di casa, e straordinari 439,50 euro «per pagamento veterinario per il cane». Meglio ha fatto papà Umberto, il cui conto arriva a 208mila euro. Di questi, 81mila se ne sarebbero andati per i lavori di ristrutturazione della sua abitazione romana, altri 20mila per «Casa lavori Capo» (così li aveva rendicontati Belsito), la bellezza di 24mila euro per «acquisti vari di abbigliamento» (alla faccia della famosa canottiera), 2mila in gioielli, e 48mila in assegni circolari intestati a sè stesso.

Ma ovviamente nessuno mungeva il partito come il suo tesoriere.

A Francesco Belsito sono contestate spese illegittime per 5,7 milioni, tra bonifici sospetti a società tanzanesi e cipriote (rischiano il processo i due faccendieri Stefano Bonet e Paolo Scala), pagamenti minimi - 128 euro per una bolletta del telefono, 300 euro per acquisti alla «Rinascente» di Roma - prelievi dai conti del Carroccio a colpi di 20, 30, 40mila euro, e assegni a quattro zeri pagati dalla Lega e con un unico, ricorrente beneficiario: «Me stesso».

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