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Quei banchieri di sistema che flirtano con la sinistra

Alla presentazione del libro di Geronzi il gotha della finanza che punta su Bersani premier

Quei banchieri di sistema che flirtano con la sinistra

Chiamateli «banchieri di sistema», chiamateli all'americana «power broker» come piace all'ingegner Carlo De Benedetti, ma tutti (o quasi) i manager dei grandi istituti bancari di casa nostra hanno un trait d'union che li accomuna e che ha a che fare con il fascino discreto del potere: una propensione, una simpatia, un'affettuosità per la sinistra.
Come si concilia Marx con Goldman Sachs e JpMorgan? Generalmente, partecipando a quella specie di noviziato laico che è la fila per votare alle primarie. Basti ricordare Corrado Passera e Alessandro Profumo, dioscuri di Intesa e Unicredit accodarsi per sostenere Romano Prodi nel 2005. E come ha rivelato l'ex deus ex machina di Capitalia (e poi presidente di Mediobanca e Generali), Cesare Geronzi nel salotto radical-chic di Gad Lerner anche trasformando le mura domestiche in un congresso di sezione. «Non sono andato a votare ma confesso un dibattito in famiglia, mia moglie è stata un'accesa renziana», ha dichiarato Geronzi alludendo alla consorte Giuliana che è anche stata assessore in quel di Marino. Bersani premier? «Sì e me lo auguro».

Certo, se il banchiere non avesse vergato assieme a Massimo Mucchetti Confiteor, una specie di autocoscienza sul capitalismo di relazione all'italiana, probabilmente questa corrispondenza d'amorosi sensi tra la finanza e la sinistra sarebbe rimasta sotto traccia. O sarebbe stata rinfacciata a Renzi, amico dell'ex Morgan Stanley Davide Serra e crocifisso dai Giovani turchi alla Fassina o alla Orfini.

E invece senza la presentazione nella sala Buzzati del Corriere della fatica editoriale (con tanto di gotha della finanza in prima fila) non si sarebbe potuto ascoltare l'ingegner Carlo De Benedetti in persona rinfacciare a Geronzi e al nume tutelare di Intesa Giovanni Bazoli «di non esser mai stati banchieri ma power broker (mediatori politici, superlobbysti)». Anzi rivolto a Bazoli: «Sta lì perché l'ha voluto Andreatta (il grande sponsor di Prodi, ndr) ma non sa neanche cosa sia una banca». A Geronzi, invece, ha ricordato i tentativi di farsa amare anche dalla stampa «nemica» prima finanziando all'inizio degli anni '80 la periclitante Repubblica di Scalfari e Caracciolo «che avevano spolpato la Comit di Francesco Cingano» e ancora non potevano contare sull'Ingegnere come socio forte. E poi garantendo la sopravvivenza al Manifesto «tanto che Valentino Parlato (fondatore del quotidiano comunista) temette il fallimento quando Geronzi lasciò Roma per Milano».

Ecco la passione «sinistra» dei banchieri è tutta qui. Un po' perché sono sopravvissuti alle varie Prime e Seconde Repubbliche coloro che avevano più dimestichezza con l'anima «sociale» della grande Dc. Un po' perché il capitalismo dei «salotti buoni» lo inventò un repubblicano come Enrico Cuccia. Un po' perché la politica continua a essere onnipresente nella vita finanziaria del Paese. «Sono convinto che per conservare l'indipendenza del Corriere (vero crocevia di interessi: Mediobanca, Fiat, Intesa, Della Valle, ndr), occorresse mantenere i rapporti col potere politico», ha sottolineato Giovanni Bazoli.

Esistono, poi, i casi particolari come il sistema-Siena. Ossia una banca, il Monte dei Paschi, che è espressione di una Fondazione i cui componenti sono nominati dalla politica locale, cioè dal Pd e che con la sua attività contribuisce a finanziare un territorio. La crisi ha messo a rischio quel sistema e Mps sta cambiando pelle, ma il fatto che il suo ex presidente Giuseppe Mussari sia presidente dell'Abi (l'associazione bancaria italiana) è simbolico di come finanza e politica in alcuni casi siano due facce della stessa medaglia. Così come non è un caso che l'uomo nuovo del Monte sia Alessandro Profumo che a tutto l'establishment non è estraneo.
Infine, c'è il «tecno-banchiere» alias il banchiere prestato alla politica: il ministro dello Sviluppo Corrado Passera. A cui la politica, in fondo, non dispiace: «Se ci fossero le condizioni, non mi tirerei indietro», ha detto alludendo a un suo impegno in pianta più o meno stabile.

Politico, ovviamente.

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