Politica

Quei tifosi dello spread che vogliono l'Italia ko per dare la colpa al Cav

Da Napolitano, Casini e Bersani messaggi contraddittori: fanno di tutto per associare il tonfo della Borsa al ritorno di Berlusconi

Buon senso vorrebbe che la classe politica mettesse l'interesse nazionale davanti a tutto. Succede ovunque, in Germania, in Francia e persino in Grecia in tempi recenti. In Italia, e non da oggi, è tutta un'altra storia.
Capita addirittura di vedere pezzi di istituzioni, personalità con incarichi di rilievo che non si fanno scrupoli a sfidare la suscettibilità dei mercati rafforzando i pregiudizi che ancora gravano sul Paese. Lo stesso premier Mario Monti si è ritagliato un ruolo nel lanciare messaggi contraddittori. Ieri, con un'intervista a Repubblica per spiegare le dimissioni, ha detto di essere «preoccupato naturalmente non per me ma per quel che vedo». Dichiarazioni quantomeno irrituali per un premier dimissionario di un paese che era e resta sotto il tiro dei mercati. Tanto che poi a Oslo Monti ha aggiustato il tiro invitando tutti a non drammatizzare la risposta dei mercati.
Il solo annuncio delle dimissioni, che poi concretamente si tradurranno nell'anticipo di un mese della scadenza della legislatura, è bastato a fare schizzare il differenziale tra i Bund tedeschi e i Btp italiani oltre i 360 punti in soli due giorni. Livelli non distanti da quelli che ci hanno accompagnato tutto il mandato del governo, prima della svolta imposta dal presidente della Bce Mario Draghi alla politica europea nel settembre scorso con il via libera agli acquisti illimitati di titoli di debito in funzione anti speculazione. Quello è stato il bivio fondamentale per l'Italia, ma il premier preferisce parlare del G8 di Cannes, quando l'Italia «fu messa alle strette». Potrebbe citare gli studi di Confindustria che riconoscono come, al netto della speculazione, il livello appropriato dello spread dovrebbe attestarsi sui 164 punti, invece preferisce informare i mercati della sua preoccupazione.
Autolesionismo molto mediterraneo, quello della nostra classe politica. Se c'è un avversario da demolire, e in questo caso è Silvio Berlusconi che si vuole candidare, regalare 60 punti di spread, pari a una perdita di circa 24 miliardi in un anno, alla speculazione rappresenta un danno collaterale. Ieri il leader Udc Pier Ferdinando Casini ha commentato la speculazione in questi termini: «I mercati non sono entità astratte, ma investitori in carne ed ossa che non hanno fiducia in un'Italia governata dai populismi».
La responsabilità è preventivamente di Berlusconi, insomma, o della sinistra, fino a quando i centristi non ci si alleeranno e diventerà, magicamente, affidabile. Per i partiti della sinistra è già colpa del Cavaliere se lo spread sale, come spiega Massimo Donadi, ex Idv: «La ridiscesa in campo di Berlusconi e l'accelerazione sulla crisi hanno messo in fibrillazione i mercati». Stesso errore metodologico da parte di Enrico Rossi, governatore della Toscana: «Crolla la borsa e lo spread vola oltre 350. È tornato Berlusconi». Si potrebbe obiettare, con molta più ragione, che i mercati temono semmai il partito che è in testa ai sondaggi, cioè quello al quale è iscritto lo stesso Rossi, il Pd. Poi Giorgio Napolitano, con quel suo «vedremo cosa faranno i mercati». Un altro capo dello Stato avrebbe dato ampie rassicurazioni sull'affidabilità del suo Paese.
Condanna di un paese dove la politica viene prima di tutto.

Con qualche eccezione, come quella del metodologo Luca Ricolfi che ieri si è fatto tre domande fondamentali: 1) la situazione è davvero peggiore di quando Berlusconi fu costretto a lasciare? 2) la situazione sarebbe oggi migliore se al posto di Monti fosse rimasto Berlusconi? 3) se Monti avesse governato in modo diverso, oggi staremmo meglio di come stiamo? Risposte fuori dal coro, per uno studioso sicuramente non di centrodestra: Sì-No-Sì.

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