Rubrica Cucù

Quel che resta degli anni di piombo

In una tranquilla e depressa serata di gennaio, dopo le interminabili feste natalizie, tra le risse dei capponi di Renzi, siamo ripiombati nei truci anni Settanta che lacerarono il nostro Paese

In una tranquilla e depressa serata di gennaio, dopo le interminabili feste natalizie, tra le risse dei capponi di Renzi, siamo ripiombati nei truci anni Settanta che lacerarono il nostro Paese.

La trilogia di Raiuno sugli Anni spezzati a partire da Calabresi, il film su Canale 5 Mio fratello è figlio unico sugli stessi anni violenti e l'anniversario della strage di Acca Larenzia in cui furono uccisi tre ragazzi missini, ci hanno scaraventato nel plumbeo clima di quei giorni. Mentre credi di vivere nel peggiore dei mondi possibili, vedi quegli anni e pensi che c'è poco da rimpiangere di allora, se non la tua infanzia o la tua giovinezza e la vita dei cari che non ci sono più.

In quel tempo non c'erano più le persone ma le categorie, non le facce, la realtà, la vita, ma i simboli, le classi, le ideologie. Non ho voglia, stasera, di dire che fu colpa dei rossi, dei neri, dei bianchi, di Br, anarchici, servizi deviati o stranieri. Penso a quegli anni di piombo come ad anni insensati, dove i sogni si fecero incubi e tutto finì nel mistero.

A chi giovarono quelle stragi e quell'odio? Criminalizzate le ali estreme e svaniti i sogni di golpe o rivoluzione, il Paese fu spaventato e crebbe il bisogno di sicurezza. Così alla fine tutto restò come prima, ma qualcosa d'inspiegato rimase nell'aria. Da quegli anni spezzati non uscì un'Italia migliore: la purezza dei fanatici e la paura dei benpensanti confluirono nel Nulla. Prima dorato, poi livido, infine plumbeo.

Ecco i nuovi anni di piombo, ma stavolta è per i soldi.

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