Politica

Quella "diversità" perduta alla prova dell'aula

Macché duri e puri, cedono subito. Nei vecchi partiti "antagonisti" la disciplina era le legge

Vito Crimi in aula del Senato
Vito Crimi in aula del Senato

«Benvenuto in politica!»: sono stati in molti, dopo l'elezione di Grasso alla presidenza del Senato, a salutare idealmente Beppe Grillo con queste parole. Perché alla prima prova parlamentare il Movimento 5 stelle ha perso 12 senatori, sedotti dalla figura dell'ex procuratore nazionale antimafia, e l'apriscatole l'ha usato Bersani. Altro che diversità: anche i grillini, in fondo, sono come tutti gli altri. O, per lo meno, rispettano l'art. 67 della Costituzione, a dispetto del loro leader che li vorrebbe provvisti di un robustissimo vincolo di mandato.
Di certo, è innegabile la differenza rispetto ad altre forze per dir così strutturalmente antagoniste che sono approdate in Parlamento, come il vecchio Pci o la Lega di Bossi. La disciplina dei gruppi parlamentari era ferrea. Nel Pci deputati e senatori erano un'emanazione diretta dei gruppi dirigenti, e nella gerarchia del potere interno sedevano molto più in basso del segretario di federazione che li aveva scelti: il Partito decideva, i parlamentari votavano. Nella Lega il legame personale, oltreché politico, con il leader carismatico è stato sempre fortissimo, e periodicamente rinnovato dal giuramento sul pratone di Pontida: tant'è che, in una Seconda repubblica dove ad ogni legislatura un centinaio di parlamentari cambiano casacca, si contano sulle dita di una mano i leghisti che hanno lasciato il Carroccio.
È evidente che quel modello - un battaglione di «duri e puri» che si muove nelle aule parlamentari come un sol uomo - con i Cinque stelle non funziona neppure alla prima prova, quando in teoria l'unità interna dovrebbe essere persino scontata. Sono bastate invece le lusinghe di un candidato certo stimabile e stimato, ma proposto da Bersani proprio per adescare i grillini con cui forse pensa ancora di poter rabberciare una maggioranza, e la maionese è impazzita. L'analisi di Grillo è corretta: «Quelli del Pd sanno di essere impresentabili e quindi devono presentare sempre qualcun altro». Ciò nondimeno, dodici suoi senatori ci son cascati subito.
In parte, la causa va trovata proprio nell'assenza fisica di Grillo (o di Casaleggio). L'idea di un partito del 25% il cui leader non siede in Parlamento è suggestiva, ma rischia di produrre numerosi danni collaterali. Quando ci fu da far digerire il governo Andreotti delle astensioni, nel 1976, fu Enrico Berlinguer in persona ad aprire la riunione dei gruppi parlamentari, e bastò questo gesto per placare ogni dissenso. Se in Senato sabato ci fosse stato Grillo, è molto probabile che le cose sarebbero andate in un altro modo.
Simmetricamente, appaiono vistosi i limiti della democrazia on-line. In teoria, i senatori avrebbero potuto convocare all'istante un referendum sulla Rete, come si fa col televoto. Ma una forza che raccoglie un quarto dei voti degli italiani è tutt'altra cosa, ormai, dall'eroico blog di Beppe Grillo. E il pulviscolo di tweet, di post, di interventi su Facebook e sui blog locali, di foto e video postati compulsivamente, non fa che accrescere il rumore di fondo, confondere le idee e distorcere la percezione, proprio perché felicemente privo di gerarchie e di regole.
Insomma, il cammino pare accidentato e il futuro tutt'altro che roseo: i diktat e le minacce di Grillo possono raccogliere il consenso dei fondamentalisti del Movimento, ma lasciano perplessi - e in prospettiva potrebbero spingere alla ribellione - i neo parlamentari, giustamente convinti di rappresentare ormai un pezzo d'Italia. «Sicuramente qualcuno di noi ha agito in coscienza - ha detto Vito Crimi, capogruppo a Palazzo Madama - e questa è stata una grande espressione di libertà, di quello che è il nostro spirito». E chissà che non sia questa la vera rivoluzione di cui abbiamo bisogno: non la compravendita dei voltagabbana, ma il voto ogni volta libero di ciascun deputato.

Del resto, così fanno ogni giorno i congressmen e i senatori della più antica e migliore democrazia del mondo.

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