Politica

La religione entra nella corsa alla Casa Bianca

La religione entra nella corsa alla Casa Bianca

da Washington

Non c'è solo il Papa in visita a «parlare di religione» in queste ore in America. E non se ne parla solo dai pulpiti o nelle stanze discrete degli incontri privati, a cominciare dalla Casa Bianca. Sia consonanza, coincidenza o concorrenza, il tema è centrale più che mai nei fori diversi della vita politica, dai saloni dei dibattiti ai corridoi attorno al potere. Con singolare tempismo i guardiani dei segreti dell'amministrazione repubblicana hanno aperto i rubinetti, o le dighe, delle indiscrezioni, alcune delle quali clamorose, mentre i big del partito democratico si sono confortati (o affrontati) in un «Forum sulla Fede nella vita pubblica e sulla Compassione», allestito nel Collegio del Messia di una cittadina di nome Grantham. Che per caso sorge in Pennsylvania, dove, sempre per caso, fra una settimana esatta si svolge la «primaria» che deciderà le sorti di Hillary Clinton (e, di conseguenza) quelle di Barack Obama. Doveva essere un'oasi di meditazione, nel tumulto della campagna elettorale. Inevitabilmente è invece divento anche una tribuna in più per le polemiche personali,in cui si e'distinta una volta di più Hillary Clinton per i suoi attacchi al vetriolo contro il rivale. Ritornando su una sua frase in cui Obama, riferendosi alle incertezze e alle amarezze di molti americani causate dalla crisi economica, ha enumerato la religione fra i canali in cui tale frustrazione si scaricherebbe, assieme all'avversione per per gli immigranti e la passione per la caccia. Hillary ha letto in questo passaggio una mentalità «élitaria» e un’incomprensione riduttiva e distorta del ruolo della religione, che e avrebbe sempre guidato il senatore Clinton «dalla mia infanzia a oggi» Obama si è limitato a osservare che è alquanto presuntuoso «chi pensa di avere una linea diretta con Dio»
Un tema caldo di questi tempi in America, in rapporto sia al «risveglio» religioso in corso da anni, soprattutto nell'area protestante «evangelica», spesso con accenti fondamentalisti, sia alla personalità del presidente Bush, che di questo movimento è certamente parte ma che da altri si distingue (con piu' discrezione) per una propensione molto maggiore ad ascoltare e a riferirsi all'insegnamento della Chiesa di Roma Appartenente alla Chiesa metodista in Texas, l'attuale inquilino della Casa Bianca frequenta a Washington la cattedrale episcopale, ma si è circondato di consiglieri cattolici, «infinitamente di più» di quanto abbia fatto il cattolico Kennedy, che ci teneva anzi a sottolineare la propria laicità, attivi in tutti i campi. Al punto che così come Bill Clinton fu definito «il primo presidente nero d'America», di Bush si dice che è «il primo presidente cattolico». Qualcuno ha addirittura preconizzato per lui una conversione alla Tony Blair.
Si tratta probabilmente di una leggenda, ma è certo che Bush ha fatto propri alcuni «principi di battaglia» della Santa sede, dalla «lotta per la vita» contro l'aborto, la ricerca sulle cellule staminali embrionali, il matrimonio tra omosessuali, l'eutanasia e ha nominato trecento giudici cattolici, due dei quali alla Corte suprema che aspettano il momento di capovolgere o limitare le sentenze che negli scorsi decenni aprirono la via a una «liberalizzazione» che secondo alcuni sconfina nel relativismo. Egli non poteva non essere in qualche modo ricambiato, dai custodi della Dottrina.

Ma è stata l'occasione della verifica di un sogno che è forse invece un lucido progetto: combinare la prorompente e «disordinata» religiosità degli americani disciplina e la coerenza intellettuali del cattolicesimo.

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