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Renzi adesso sfida i dissidenti: "Mineo? 15 minuti di celebrità"

Pd sempre più spaccato: oggi prevista un'Assemblea di fuoco. Il premier è netto: "Basta palude, decido io. Non si può vivacchiare". Ma in aula mancano i numeri

Renzi adesso sfida i dissidenti: "Mineo? 15 minuti di celebrità"

«Mineo chi?». Dario Nardella, sindaco di Firenze e renziano di ferro, prova a buttarla in ridere. Ma dopo le autosospensioni dei 14 senatori anti-renziani, sulle riforme il caos regna sovrano, dentro e fuori il Pd. Pippo Civati e i suoi promettono maretta all'Assemblea nazionale Pd di oggi. Corradino Mineo impazza dolente in tv, gli manca solo la barba per identificarsi appieno nel Solgenicyn spedito al gulag da Stalin, e denuncia insieme a Vannino Chiti una «occupazione partitocratica del Parlamento», neanche parlasse della Rai dove faceva il direttore in quota Ds.
Ma Renzi e i suoi non sembrano granché impietositi, e oggi il premier potrebbe ulteriormente isolare la piccola fronda e blindare le riforme facendo votare l'Assemblea su questo: «Il diritto del Pd di sostituire in commissione chi esercita un potere di blocco contro le riforme è pacifico - dice Renzi in serata -. Non mi rassegno all'idea che vinca la palude. Nel Pd il tempo delle mediazioni è terminato, ora bisogna decidere: quel fracco di voti al Pd dice che non si può più vivacchiare». E ancora: «Il tempo delle mediazioni è terminato nel Pd, abbiamo ascoltato tutti in tutte le sedi. Non è possibile tutte le volte ripartire da capo». E se non bastasse: «Mentre qualcuno passa le giornate a pensare cosa fa un senatore, noi stiamo cambiando l'Italia. Sono i quindici minuti di celebrità che stanno nella storia dell'Italia contemporanea». Tanto è vero che Massimo Mucchetti, sodale di Mineo, si era sentito dire «avete chiuso» dal vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini, da cui era andato a perorare la causa dei «dissidenti». I renziani dicono di poter contare su una ventina di senatori, tra M5S e Forza Italia, pronti a sostenere la riforma, rendendo superflui i voti dei ribelli. Realtà o bluff per stanare gli interlocutori, Berlusconi in testa? Intanto circola l'ipotesi che il governo acceleri sulla legge elettorale, l'unica arma di pressione che Renzi può usare sul neghittoso Parlamento - a cominciare dai dissidenti - per sbloccare anche la riforma del Senato. Pure il Quirinale preme su questo fronte. Una cosa è certa: nel governo sono allo studio simulazioni di voto con due sistemi diversi: l'Italicum per eleggere la Camera e il Consultellum per il Senato, visto che la famosa clausola Lauricella, imposta dalla minoranza Pd per approvare la nuova legge elettorale a Montecitorio, ne limita l'applicazione ai soli deputati, fino ad avvenuta riforma del bicameralismo. Risultato dei sondaggi: alla Camera, Renzi vincerebbe il premio di maggioranza al primo turno, scavallando in souplesse la quota 37% ed evitando ballottaggi con il secondo arrivato. Al Senato, con il proporzionale puro scodellato dalla Corte Costituzionale, la maggioranza invece non ci sarebbe, e le alleanze sarebbero necessarie. Ma il fatto che le simulazioni vengano commissionate dimostra che l'ipotesi viene presa seriamente in considerazione.
La sostituzione di Mineo in Commissione Affari costituzionali garantisce a Renzi una maggioranza sul testo base di riforma del Senato cui lavorano i due relatori. Anche se l'altro membro silurato della Commissione, il centrista Mario Mauro, ieri ha presentato un ricorso contro il suo gruppo al presidente del Senato Piero Grasso, chiedendogli di essere reintegrato, e se così fosse i numeri tornerebbero a ballare. In ogni caso, affrontare l'aula con la riforma del bicameralismo appesa a 156 voti certi (togliendo i 14 ribelli Pd) è rischioso, e l'appoggio di Berlusconi resta fondamentale. «A quel punto Mineo e i suoi amici diventerebbero del tutto inutili», spiega un dirigente del gruppo Pd a Palazzo Madama. Ma come ottenere il sì del Cavaliere? «Renzi è pronto ad accusare davanti agli italiani questo Parlamento, pezzi di Pd inclusi, di non voler fare le riforme, e chiedendo il 50% per portarle a termine. Col rischio di prenderlo davvero nelle urne».

Il gigantesco «40,8%» che dominerà oggi sul palco dell'Assemblea nazionale Pd, insomma, è una minaccia non solo per il partito.

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