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Renzi choc: pronto a lasciare il Pd

Pd sempre più nel caos. Matteo Renzi col pretesto del caso kazako è a un passo dalla rottura con il suo partito e con il premier Letta

Renzi choc: pronto a lasciare il Pd

Roma - Nel Pd sembra ormai esplosa la guerra nucleare. E Matteo Renzi è a un passo dall'addio a quel che ne resta, tentato «di mandare tutti a quel paese e andarmene in vacanza», abbandonando al suo destino un partito la cui classe dirigente «preferisce perdere di nuovo le elezioni pur di mantenere la poltrona». Tuona: «Mi vergogno per il Pd, se sceglie la vicenda kazaka per regolare i conti tra le sue correnti». Il sindaco di Firenze è «allibito» per il tiro al piccione in corso nel corpaccione democrat contro di lui, accusato di voler far saltare il governo Letta («E perché, visto che comunque non si andrebbe al voto?», dice lui). Che poi lo facciano «strumentalizzando una vicenda di cui come italiano mi vergogno, in cui una bambina di sei anni è stata prelevata da quaranta agenti, messa su un aereo e adesso vive con la mamma agli arresti domiciliari in un Paese non libero», è a parere di Renzi «inaccettabile». Quanto al governo e al ruolo di Alfano, «scaricare su servitori dello Stato tutte le responsabilità senza che venga mai fuori un responsabile politico è indegno». Toni più duri che mai. È la miccia, il casus belli, è il punto da cui partire per regolare i conti con un partito e una dirigenza che non ama e gli sta stretta.

Renzi si sente più forte del partito e dell'apparato Pd. O semplicemente non li sopporta più. Lo limitano, lo boicottano e così si apre un varco, prepara i bagagli e punta altrove. «Questi - rivela - hanno talmente terrore di me che stanno cercando di rinviare il congresso e imbrogliare di nuovo sulle regole, blindando le primarie ai soli iscritti». Sull'altro versante anche Enrico Letta, dicono i suoi, stavolta ha perso la pazienza con un partito «in cui troppi giocano con l'irresponsabilità». Ieri in serata la segreteria ha comunicato di aver deciso che il Pd non voterà le mozioni di sfiducia ad Alfano. «Il governo deve proseguire l'opera di risanamento», si legge nella nota della segreteria.

E comunque oggi Letta metterà sul tavolo tutto il proprio peso. Ricordando che, nel voto di venerdì, non è in gioco il ministro dell'Interno e quel che sapeva o non sapeva del pasticcio kazako, ma appunto il governo intero, premier in testa. Il premier, che da Londra si è tenuto in costante contatto con il segretario del Pd, con il Pdl, con il Quirinale, avverte: «Io stesso sarò in Parlamento venerdì». E nei conversari privati va oltre: «Se c'è qualcuno che vuole far saltare il tavolo e trascinare il paese alle urne, deve venire allo scoperto e assumersene la responsabilità». E deve sapere che, se anche il governo cadesse, «Enrico continuerà ad esserci, e a quel punto le primarie le organizziamo noi da Palazzo Chigi», come spiega un lettiano di prima linea. Il fronte di chi vede con terrore l'ascesa del sindaco e la fine dello status quo si frega le mani: «Con Letta abbiamo finalmente l'anti-Renzi».

Ieri però era il Pd intero in grandissima sofferenza a dover sostenere Alfano, tanto più con i parlamentari renziani apertamente schierati per la sfiducia (anche se pronti a rimettersi alla linea di maggioranza). E così sono usciti allo scoperto (concordandolo con Epifani) prima Cuperlo e poi Anna Finocchiaro a parlare apertamente di dimissioni di Alfano. L'ipotesi di chiedere al Pdl il «sacrificio» del suo segretario per poter continuare a sostenere il governo, mostrando che anche il Pd aveva incassato qualcosa. Un rimpasto rapido, e via.

Ma dal Colle l'idea è stata stoppata: Alfano resta, il governo non si tocca.

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