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Renzi e la battaglia campale sul lavoro e l'articolo 18

Il segretario lima i punti del "Piano del lavoro" del Pd: contratto unico a tempo indeterminato e sussidio di disoccupazione per tutti

Renzi e la battaglia campale sul lavoro e l'articolo 18

La disoccupazione, specie quella giovanile, è una delle piaghe che più affliggono l'Italia. Solo qualche numero per inquadrare meglio il problema: siamo al 12,5%, la media in Europa è al 10,9%. Peggio di noi nell'Eurozona solo Grecia, Spagna, Portogallo e Irlanda. I giovani (fascia d'età 15-24 anni) sono sempre più emarginati: dal 22% di disoccupazione del 2004 siamo passati al 41,2% (dati Istat ottobre 2013). Ovviamente si deve fare di tutto per ridare fiato all'economia. Perché se le cose continuano ad andare avanti in questo modo c'è da poco da sperare in un cambiamento virtuoso a livello occupazionale. Il problema, però, è più complesso. Ed è sulle diverse strategie per far ripartire il lavoro che, con molta probabilità, si giocherà la prossima battaglia politica.

Appena insediatosi alla segreteria del Pd, Matteo Renzi ha spiegato ai suoi che va bene occuparsi della nuova legge elettorale o di altre questioni di stretta attualità, ma la vera battaglia campale si giocherà sulle risposte da dare a chi è senza lavoro. Entro la fine di gennaio, dunque, presenterà un Job Act (Piano per il lavoro), con una serie di misure che, tenendosi alla larga dallo scontro ideologico (pro o contro l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori), cercheranno di ridare slancio alle assunzioni a tempo indeterminato. I punti essenziali del Piano di Renzi sono questi:

1) contratto unico, fuori dalla "cornice" dell'art. 18, per tre anni (in questo modo si cerca di ridurre il massiccio ricorso, da parte degli imprenditori, dei contratti flessibili); 2) Sussidio di disoccupazione universale: ne avranno diritto tutti coloro che perderanno il lavoro (attualmente solo uno su tre ne può beneficiare). Prenderà il posto dell'attuale Cig (cassa integrazione); 3) I centri per l'impiego verranno potenziati e integrati con le agenzie private per il lavoro. Ad oggi intercettano solo il 5% circa della forza lavoro immessa sul mercato, in Gran Bretagna siamo al 20%. 4) Dati: dallo Stato e dall'Europa arrivano moltissimi finanziamenti pubblici per creare lavoro. Spesso, però, i risultati sono troppo deludenti. Questi flussi di denaro devono essere attentamente monitorati, per evitare sprechi e stimolare la vera crescita occupazionale. 5) Sindacati: con una legge sulla rappresentanza si cercherà di stimare il "peso" dei sindacati (vecchio cavallo di battaglia Fiom/Cgil).

Renzi vuole ridurre il più possibile il numero dei precari attraverso un contratto a tempo indeterminato con tutele crescenti, escludendo i neoassunti dalla copertura dell'art. 18 per i primi tre anni. E in questi 36 mesi iniziali, tra l'altro, l'imprenditore si troverebbe nella condizione di non dover pagare i contributi (sarebbero a carico dello Stato). Maurizio Landini (Fiom) manda subito un avvertimento: "Se Renzi vuole fare una cosa intelligente ripristini l'articolo 18 per impedire i licenziamenti ingiustificati. Ripristini un diritto di civiltà". In un'intervista a Repubblica il viceministro all'Economia, Stefano Fassina, storce la bocca: "Il lavoro non si crea cambiando le regole d'accesso, bisogna intervenire sul livello produttivo, sostenere la domanda aggregata, i consumi e gli investimenti". E si dice convinto che nel Piano per il lavoro che il Pd presenterà fra un mese non si parlerà di articolo 18. Ma siamo proprio sicuri che andrà così e che Renzi rinuncerà alle idee già illustrate, in passatoi, da Ichino, Boeri e Garibaldi? Nonostante il clima natalizio l'impressione è che siamo solo all'inizio di un nuovo scontro frontale fra due visioni opposte della sinistra che da decenni si confrontano senza mai riuscire a trovare un'intesa in grado di reggere.

Vedremo se Renzi riuscirà a salvare capra e cavoli tenendo unito il partito e, soprattutto, tirando fuori dal cilindro qualche proposta valida.

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