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Renzi senza numeri al Senato. I voti di Sel salvano il governo

E in commissione alla Camera solo il Partito Democratico vota il decreto sul lavoro. Brunetta:"Stato comatoso"

Renzi senza numeri al Senato. I voti di Sel salvano il governo

Roma - «Il governo non ha la maggioranza assoluta al Senato, è in stato comatoso». Il capogruppo di Forza Italia alla Camera Renato Brunetta, appreso l'esito delle votazioni sul Def a Palazzo Madama, non ha esitato a sferrare un duro attacco al premier Matteo Renzi e alla compagine politica che lo sostiene. «Cosa potrà succedere sulla riforma elettorale, sulla riforma dello stesso Senato, del Titolo V della Costituzione, dell'abrogazione del Cnel?», si è interrogato retoricamente l'ex ministro. La risposta è scontata: se non cederà ai compromessi rispetto alle ambiziose riforme annunciate, Renzi è destinato a fare pochissima strada.

La cronaca parlamentare sostanzia questa ipotesi. Ieri l'Aula del Senato era convocata per esaminare il Documento di economia e finanza e approvare due risoluzioni. La prima è il consueto ok alle proposte del governo. La seconda era la più importante: dare il via libera alla richiesta del ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, di posticipare di un anno il pareggio di bilancio. Dopo la riforma costituzionale di due anni fa per derogare da quell'imperativo categorico è necessaria la maggioranza assoluta delle due Camere.

In teoria l'asse Renzi-Alfano-centristi nella Camera alta può godere di 171 voti, dieci in più rispetto ai 161 necessari per avere la maggioranza a Palazzo Madama. La presenza di 260 senatori (su 320) pareva un buon viatico considerato che le assenze più numerose erano nei ranghi dell'opposizione. Invece, il voto sulla mozione-rinvio ha ottenuto soltanto 170 voti. Uno in meno del previsto si dirà. E invece no. La coalizione renziana infatti ha potuto contare solo su 160 sì (uno in meno della maggioranza assoluta) ed è stata rimpinguata da 4 «dissidenti» (l'ex leghista Davico, il cosentiniano Langella e le ex grilline De Pin e Gambaro) e da cinque esponenti di Sel (De Petris, Cervellini, De Cristofaro, Uras e Barozzino). Il 170esimo voto è giunto dal leghista Roberto Calderoli che aveva preparato la solita mozione-trappola, ma che è finito intrappolato dalle alchimie del governo. Non avendo ritirato la propria proposta, l'ha votata per coerenza.

La senatrice Anna Cinzia Bonfrisco (Fi), relatrice di minoranza, ha colto la palla al balzo. «Per Renzi è arrivato il soccorso rosso», ha dichiarato alludendo ai «sì» delle ex pentastellate e dei vendoliani. «È nata una nuova maggioranza di sinistra-centro» ha chiosato il capogruppo di Fi al Senato, Paolo Romani.

Anche la votazione sul Def ha infatti evidenziato scricchiolii malauguranti: i sì sono stati solo 156 nonostante nel Pd ci fosse solo un assente su 108 senatori e in Ncd tre su 32. Per l'alfaniano Maurizio Sacconi, «la maggioranza addirittura si sta allargando». Questione di prospettive o, forse, un annuncio della prosecuzione del «calciomercato». Intanto nella commissione Lavoro della Camera il decreto (prodromico del Jobs Act) del ministro Poletti è stato votato solo dal Pd che ha peraltro ridotto da 8 a 5 le proroghe per i contratti a termine. Ncd e opposizione daranno battaglia.

Da non trascurare, inoltre, il fatto che ieri sia emersa la vera natura del governo in tema di politica fiscale. Sono state bocciate, infatti, le quattro risoluzioni presentate da Forza Italia. La maggioranza ha detto «no», tra l'altro, all'invito a ripensare l'aumento dell'aliquota sulle rendite finanziarie (alla luce di tutta la tassazione che grava sul comparto) e ad estendere tanto ai pensionati quanto agli autonomi lo sgravio Irpef da 80 euro. «

Grazie all'asse che va da Alfano a Vendola avremo sempre più tasse», ha commentato amaramente il senatore di Forza Italia, Lucio Malan.

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