Politica

Renzi si è dimesso da rottamatore: "Ricostruirò l'Italia"

Nell'ultimo libro il sindaco di Firenze spiega la sua strategia: "Non farò una battaglia generazionale, voglio andare oltre"

Renzi si è dimesso da rottamatore: "Ricostruirò l'Italia"

Grande attesa per l'arrivo, oggi al Salone del Libro di Torino, di Matteo Renzi con il suo nuovo libro «Oltre la rottamazione» pubblicato da Mondadori. L'uscita del volume coincide, per volontà del sindaco di Firenze ed esponente di punta del Pd, con la presentazione all'Auditorium del Lingotto - in programma alle 12.30 - in quello che si annuncia come uno degli eventi più importanti della 26/ma edizione del Salone. Un'analisi della sconfitta alle primarie contro l'ex segretario Pier Luigi Bersani, e la «non vittoria» del partito democratico alle ultime elezioni politiche.

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I primi mesi del 2013 ci hanno tolto molte certezze. Difficile non provare un senso di spaesamento quando vedi l'immagine di due papi vestiti entrambi di bianco che si abbracciano in Vaticano. Inimmaginabile pensare che il video più visto al mondo su YouTube, il primo che supera il miliardo di visualizzazioni, non sia prodotto in America, ma sia quello di un rapper coreano che improvvisamente diventa celebre con il Gangnam Style. E, per chi ama il calcio, è sinceramente complicato non avvertire il vuoto pensando che uno dei più grandi allenatori di sempre, sir Alex Ferguson, lasci dopo ventisette anni la panchina e la guida del Manchester United. Ci sono tutti gli elementi, dunque, per perdere la bussola.

Ma qualche certezza resta intatta. Fortunatamente o sfortunatamente, sia chiaro. Per esempio, la certezza che la sinistra italiana riesca a perdere le elezioni, anche quando sembrerebbe impossibile farlo. (...). La sinistra realizza la straordinaria impresa di perdere elezioni politiche che sembravano già vinte, grazie a una campagna elettorale da manuale. Manuale dei perdenti, sia chiaro. Silvio Berlusconi risolleva un centrodestra che sembrava cotto e decotto, riuscendo nel capolavoro di cancellare con due mesi di campagna elettorale nove anni di governo fallimentare. Ci salviamo per un soffio, per un pugno di voti: fanno la differenza poco più di centomila cittadini. Le ultime ore dello scrutinio sono un allucinante, inarrestabile avvicinamento del Popolo della libertà alla percentuale del Partito democratico: finirà con uno scarto da prefisso telefonico, appena uno zero virgola. Mi domando quale peccato abbia commesso il militante democratico tipo per arrivare sempre sul fotofinish a rischiare le coronarie. Se solo i democratici non si fossero alleati con la Südtiroler Volkspartei, giusto per fare un esempio, il Cavaliere avrebbe avuto i consensi per la rimonta più incredibile della storia e, particolare non da poco, per farsi eleggere al Quirinale!

Già, il Colle. Il Parlamento neoeletto conferma - per la prima volta nella storia della Repubblica italiana - l'inquilino uscente, Giorgio Napolitano. (...). Surreale la scena del discorso di insediamento del presidente della Repubblica: parole durissime contro le colpe dei partiti e dei loro esponenti che, con raro e notevole sprezzo del pericolo applaudono freneticamente. Un marziano che assistesse alla scena in diretta tv non capirebbe. Neanche un umano, forse. Più il presidente gliele canta, più i membri del Parlamento sembrano entusiasti: rara forma di masochismo politichese. Viene quasi voglia di mettere un sottotitolo: Ragazzi, guardate che sta dicendo a voi, eh!
Il quadro del grande caos si completa con il risultato straordinario dell'ex comico Beppe Grillo il cui Movimento5 Stelle prende i voti di un italiano su quattro, e con il tonfo, sobrio come da marchio di fabbrica, del partito dell'ex premier Mario Monti, Scelta civica. Ora, io mi immagino un giornalista straniero. Per mesi ha detto e scritto che finalmente Monti ha restituito serietà e credibilità al Paese (non era impresa complicata dopo che avevamo avuto per ministri persone come Bossi, Brambilla, Brunetta, solo per restare a quelli con la lettera B). L'Italia è tornata un Paese normale, dicono i media di tutto il globo. Poi vengono le elezioni e l'uomo considerato per un anno il salvatore della patria arriva quarto. Addirittura giù dal podio. (...).

Seguo queste vicende da attore non protagonista, come si direbbe al cinema. La mia vicenda personale non è di per sé interessante. Non ero candidato alle elezioni politiche, avendo scelto - dopo le primarie contro Bersani - di evitare i classici premi di consolazione (...). Con i miei amici abbiamo deciso di fare una scelta diversa, non per snobismo ma per coerenza: volevamo cambiare il Paese, non cambiare poltrona. Non siamo riusciti nell'impresa? Bene, riproveremo. Ma adesso non ci facciamo lusingare da un incarico. E dunque, il giorno dopo la sconfitta alle primarie del dicembre 2012, ho continuato a fare il sindaco della mia città (...).

Ho lanciato, ad esempio, una parola che è stata molto contestata e criticata: «rottamazione». Non ricordo partito politico che non abbia preso le distanze da questo termine: anche chi magari poteva arrivare a essere d'accordo con la sostanza, ne contestava quasi sempre la forma. Mi sono preso del maleducato, del qualunquista, del demagogo. Con leggerezza e sobrietà il giornale del mio partito mi ha bollato con l'epiteto del «fascistoide». E questo è il mio, di partito. Figuriamoci gli altri. Ma la parola «rottamazione» è entrata nel lessico familiare degli italiani. E si è fatta strada persino in politica se è vero, come è vero, che a conclusione di questa lunga impasse istituzionale abbiamo votato il Parlamento più giovane della storia repubblicana e ci siamo trovati con un presidente del Consiglio under 50. Io ho perso alle primarie, ma la rottamazione ha vinto alle secondarie (...). Il Parlamento manda in pensione (purtroppo con cospicua liquidazione e annesso vitalizio) molti dei leader degli ultimi vent'anni. Il governo Letta sembra voltar pagina, tenendo fuori i big di una generazione. Non è arrivato il momento della nostra generazione, non è (ancora) arrivato. Ma ci siamo andati molto vicini. Come dice la saggezza popolare, tuttavia, «vicino» vale solo a bocce. Arrivare vicino, in politica come nella vita di tutti i giorni, non basta. Però è già un passo in avanti.

Adesso che la rottamazione è riuscita, voglio essere il primo a dire basta con la rottamazione. E spiegare finalmente, una volta per tutte, che nessuno di noi ha mai inteso fare una battaglia squisitamente generazionale. Noi vogliamo cambiare l'Italia, non cambiare l'anagrafe (...). Cos'è stata dunque, in sintesi, la rottamazione? L'idea di riportare la politica in sintonia con il Paese. Di rimettere l'Italia dei Palazzi sui binari della quotidianità (...). Per me la politica ha senso solo se è un laboratorio di innovazione da cambiare giorno dopo giorno, non un triste tour al museo delle cere. Di questa rottamazione c'è ancora molto bisogno. Paradossalmente c'è bisogno più di prima di una spinta che aiuti l'Italia a rimettersi in movimento. Andare oltre la rottamazione non significa dunque rinnegarla, ma completarla. (...)
Oggi per noi la missione non è rivendicare i risultati ottenuti, ma tentare di andare oltre la rottamazione. Dimostrare che si può cambiare. Scelgo tre ambiti, tre settori. Politica, lavoro, futuro. E provo a spiegare come e perché oggi sia possibile andare oltre la rottamazione. E forse sia addirittura necessario.

Perché, finalmente, l'Italia torni a fare l'Italia.

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