Politica

Renzi si ispira a Blair ma l'obiettivo resta far cadere il governo

RomaMatteo Renzi è tra i pochi cui riesce ancora di stupire con frasi a effetto e un uso raffinato del paradosso. Quindi è il politico ideale da intervistare. Non solo perché è tra i primi attori della sit-com politica nostrana, ma anche perché regala «perle» utili per titoli e richiami da prima pagina. Se il giornalista del Foglio, ad esempio, gli chiede quali siano i suoi nemici all'interno del Pd, lui ti stupisce con una risposta che elude e a un tempo supera la domanda. «Antagonisti? L'unico è Berlusconi». Come a dire: per me la partita della segreteria è una pratica già chiusa in partenza; l'unico mio rovello è che non mi facciano lo scherzetto di non associare premiership e leadership. Già, perché questo «uomo del fare» non si accontenta della poltrona più prestigiosa degli uffici di Largo del Nazareno. Vuole risiedere, e stabilmente, a Palazzo Chigi. Per fare questo, però, deve sacrificare Enrico Letta. Ecco perché alcuni giornali già ieri parlavano di «effetto tenaglia». Da un lato il Pdl che morde il freno per avere l'ultima parola in fatto di politica economica, sgravi fiscali e incentivi produttivi, dall'altro il sindaco di Firenze che già si presenta come alternativa non solo a Epifani ma anche come «erede» del pisano Letta. E, ironia della sorte, la «battaglia sotterranea», che sta agendo come una sorta di bradisismo all'interno del Partito democratico, vede come antagonisti due «ragazzi» toscani, figli del Ppi e nipoti della vecchia Democrazia cristiana. E molto democristiana sembra anche la rassicurazione di lealtà all'esecutivo offerta dallo stesso Renzi a Napolitano, pochi giorni fa, in occasione della presentazione della nuova stagione del Maggio Fiorentino. Anche se poi, giurano i bene informati, esultava sommesso alla notizia che col voto di fiducia Letta ha perso 70 voti.
Renzi si sente così sicuro del suo prossimo successo politico (vale a dire la vittoria della segreteria, ma solo con primarie non «taroccate») che sulle pagine del Foglio non ha alcuna remora a sviscerare non dico la sua ambizione ma financo le sue strategie. Intanto bisogna bruciare sul tempo il Pdl nella rivoluzione economica. La riduzione delle tasse - secondo il sindaco di Firenze - è una priorità. E poi arriva l'affondo che certo non ti aspetti da un compagno di partito dei vari Fassina, Epifani e Bersani. «La politica deve iniziare a ragionare con la sua testa, deve emanciparsi dai sindacati e deve imparare ad adoperare con più sapienza una parola precisa: produttività». E per sparigliare ancor più le carte precisa: teniamoci Vendola, però scegliamo il presidenzialismo. E infatti, la figura di riferimento, per l'aspirante segretario, è quella proprio del sindaco (che certo conosce bene). «Il sindaco è un politico anomalo - spiega Renzi nel comizio di chiusura per il ballottaggio a Comiso a sostegno di Francesco Spataro - che sta in mezzo alla gente e deve essere all'altezza dei sogni e delle speranza della gente». Insomma la prossima mossa è trasformare il leader di un partito («che con una figura carismatica - dice - può arrivare al 40% dei voti») in un «sindaco d'Italia». Che poi questo identikit ricordi più facilmente il Cavaliere che il Tony Blair del new labour, tanto caro proprio a Renzi, poco importa. La questione essenziale, come sussurrano sottovoce i renziani di stretta osservanza, è che sia proprio Berlusconi a togliere dal forno la patata bollente della caduta del governo Letta.

Altrimenti toccherà a Renzi farlo.

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