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Il rigore di Bruxelles fa un'altra vittima: l'Ue perde la «tripla A»

«AAA cercasi». L'Unione europea ha perso il bollino blu dell'affidabilità finanziaria: Standard&Poor's ha infatti strappato ieri a Bruxelles i galloni della tripla A, degradandone il merito di credito ad AA+. Un'autentica eurobocciatura, un ceffone all'eurocrazia ancor più bruciante perché rifilato col vertice Ue in pieno svolgimento e a poche ore di distanza dall'intesa sulla gestione dei fallimenti bancari, annunciata dai protagonisti con tanto di fanfare.
Ora, il primo punto da chiarire è che la credibilità delle agenzie di rating, con particolare riferimento alle «tre sorelle» (oltre a S&P, Moody's e Fitch), è stata fortemente intaccata dalla crisi. Una crisi generata, peraltro, anche dai giudizi delle agenzie stesse. Su tutti, la tripla A assegnata a Lehman Brothers non molto prima della bancarotta choc, nonché la previsione di default della Grecia e dell'implosione dell'euro. Il verdetto di S&P non è quindi vangelo. Volendo pensare male, potrebbe pure essere letto come un atto di ritorsione dopo il giro di vite con cui, qualche mese fa, l'Unione ha inteso limitare l'eccessiva ingerenza delle Signore del rating andando a toccare il nervo scoperto delle partecipazioni incrociate.
Il downgrade non può tuttavia essere liquidato con una battuta tipo quella del presidente della Ue, Herman Van Rompuy («Non ci rovinerà il Natale»), né essere bollato come «una decisione incomprensibile» (Commissione Ue»). È vero: la valutazione ha un'indubbia coloritura politica, visto che in base ai trattati europei l'Ue non può finire in disavanzo, non ha debito, né bond. Ma la decisione non è un fulmine a ciel sereno. La tripla A ballava, ormai da anni, come un dente cariato. Nel gennaio 2012, con la revisione dell'outloook da stabile a negativo, S&P aveva fatto capire a Bruxelles che la scure stava per calare. Quasi un atto dovuto in seguito al calo di rating subìto da diversi Paesi Ue, ultimo in ordine di tempo l'Olanda (il 29 novembre scorso). Il voto medio degli Stati membri non va oggi oltre il livello «AA».
Se il rating Ue fosse solo la rappresentazione del grado di affidabilità degli Stati membri, la mossa di S&P non farebbe già di per sé una grinza. Ci sono però cause ancora più specifiche legate alla bocciatura. Standard&Poor's punta il dito soprattutto sulle tensioni nella formazione del bilancio comunitario, attribuibili alla richiesta di minori versamenti rivolta dai Paesi il cui contributo finanziario è superiore a quanto ricevuto sotto forma di fondi comunitari. Queste frizioni sono da sempre un marchio di fabbrica comunitario (a nessuno piace pagare), e spesso sono state il corollario di trattative estenuanti e ripetuti ribaltamenti di alleanze. Nell'ultimo periodo, però, gli ultras del «pago meno» sono aumentati: colpa della crisi economica e dell'austerity. Quest'ultimo è un punto centrale. Alla crisi del debito, inserita nella black list di S&P e tra i motivi del declassamento, si è cercato di porre rimedio attraverso la medicina del rigore. Che, a conti fatti, si è rivelata peggiore del male. Perfino il Fondo monetario, terzo braccio della Troika di cui fanno anche parte la stessa Ue e la Bce, ha dovuto ammettere l'errore. Una sbaglio clamoroso costato un aggravamento delle recessione, un aumento del numero dei disoccupati, una morìa continua di imprese e un'inutile rincorsa per afferrare una ripresa sempre più sfuggente.

Col risultato di peggiorare proprio quell'indebitamento pubblico debito che si voleva riportare sotto il livello di guardia.

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