Politica

Il ritorno delle divise, un'élite dimenticata

Da Ataturk a Chavez, nei paesi emergenti sono ancora élite, anche culturale ed economica

Chi ha meno di cinquant'anni probabilmente non ricorda. Ma ci fu il periodo dei colonnelli. I colonnelli intesi come colpo di Stato. Fu dopo il colpo dei colonnelli greci il 21 aprile del 1967, con cui fu instaurata una brutale dittatura che finì quando altri generali e altri colonnelli, quelli turchi stavolta, fecero un loro colpaccio a Cipro costringendo i colleghi greci a tirare fuori i carri armati e prenderle di santa  ragione. Ma la stagione dei colonnelli fu speciale. Li vedevamo dappertutto. Erano probabilmente dappertutto, non si sa mai dove comincia la leggenda. Ma insomma faceva molta impressione la macchina militare vista come potenziale pericolo civile. Poi non accadde proprio nulla e probabilmente mai sarebbe accaduto, ma specialmente a sinistra era molto di moda fingersi alla macchia perché potevano arrivare i colonnelli. Adesso vediamo l'Egitto che affida - come al solito - le sorti della propria democrazia non ai colonnelli ma ai generali. Idem in Turchia, dove il potere militare derivato dal colpo di Stato del padre della patria Ataturk, ha sempre una superiorità non dichiarata ma ben nota su quello civile. Nei Paesi musulmani in genere la casta militare è quella che ha studiato all'estero, parla le lingue, specialmente l'inglese (ma in Siria è tornato di moda il russo) sa di tecnologia, annovera ingegneri, medici e periti elettronici, insomma forma una élite avanzata. Ma in Egitto la casta dei colonnelli e dei generali ha le funzioni di una corte costituzionale armata e può sempre revocare la democrazia: «La democrazia io non ve la do, io ve l'affitto» potrebbe essere il loro motto, preso a prestito dal sonetto l'Editto del Belli, che il cinema ha poi fatto credere fosse farina del marchese del Grillo. E così accade anche che proviamo un certo senso di disagio per quel Paese, quei Paesi, e i loro colonnelli. Da noi si è convenuto che due specie di servitori dello Stato non indossassero i panni borghesi, ma una uniforme: i militari e i magistrati, divisa e toga. Questo accade perché chi porta la divisa o la toga dovrebbe dimenticare di essere una persona come le altre, disponendo invece di un enorme potere che deve/dovrebbe amministrare in maniera impersonale, limpida, secondo i protocolli e secondo i gradi, secondo un ordine e un ordinamento da cui i cittadini si dovrebbero sentire protetti. Non ho intenzione qui di innestare la quarta e partire con la solita filippica su quella parte della nostra magistratura che pensa e agisce come quel magistrato che doveva andare in Val d'Aosta e poi non è andato. Ma almeno abbiamo un corpo, non diciamo una casta, di militari da cui non dobbiamo temere colpi di Stato. In genere i colonnelli e i generali hanno imparato - non tutti ma quasi - ad affiliarsi ai partiti, alle correnti, ad essere «punto di riferimento». E così da decenni ogni politico ha i suoi generali e ogni generale il suo politico. E questo è umano, anche se non è carino. Ma sta di fatto che le nostre Forze armate, seriamente e generosamente impegnate in vere missioni armate all'estero, non costituiscono più un bacino di riserva politica, come accade invece nei Paesi del Terzo mondo (ora si chiamano emergenti) in cui i militari hanno prodotto caudillos come Chavez e anche come lo stesso Fidel Castro che è passato dalla guerriglia all'uniforme permanente. Noi non siamo Terzo mondo, ma di sicuro non siamo emergenti. Spesso ci troviamo in un mare di liquido marrone da cui è difficile emergere anche col periscopio. E così ogni tanto ci guardiamo intorno e vediamo quale sia il potere delle lobby militari straniere (anche le nostre fanno i loro affarucci, intendiamoci) e quanto da noi la landa sia desolata. Abbiamo avuto tanti poveri nostri morti nelle guerre di pace che combattiamo in Oriente (e che sono vere guerre e realmente hanno lo scopo di congelare situazioni belliche e bellicose). E dunque consideriamo uniformi e ufficiali, Forze armate e generali come nostri compagni di ventura economica e politica. Ma al tempo stesso, almeno a me capita, rimpiangiamo che si veda poco a livello almeno teorico quel che i nostri militari d'alto grado e livello pensano, ciò che immaginano e ciò che prevedono. L'Egitto è lontano, ma in definitiva neppure tanto.

Mai vorremmo i generali dire la loro sulla vita politica come fanno invece i magistrati che non ci risparmiano nulla, ma al tempo stesso avvertiamo un vuoto non di potere, che non ci ha da essere, ma di produzione intellettuale, visto che non sono meno cittadini degli altri.

 

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