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Sì della Camera al decreto lavoro alla sinistra Pd va il primo round

Passa la fiducia sul Jobs act. Barricate da Fi, Lega e M5S. Ncd dice di volerlo cambiare al Senato, ma per ora dà l'ok

Sì della Camera al decreto lavoro alla sinistra Pd va il primo round

Il decreto lavoro passa alla Camera, blindato dal sesto voto di fiducia del governo Renzi (344 sì, 184 no), ma è come quando una squadra di serie A batte nel ritiro precampionato i boscaioli di una valle alpina: c'è poco da esultare, perché le partite vere saranno ben altre. Ad esempio quella che si giocherà in Senato, dove i numeri della maggioranza sono molto più risicati. E dove soprattutto rischia di arrivare un testo molto differente da quello licenziato a Montecitorio e frutto di una serie di emendamenti controfirmati dalla fascia sinistra del Pd e dalla Cgil.

Insomma, lo scontro è solo rinviato. E in quel momento «si parrà la nobilitate» di quanti, come i deputati Ncd, fino a martedì mattina minacciavano sfracelli contro il decreto lavoro per poi votare ieri sì, mansueti come agnellini scampati al pranzo di Pasqua. «Il governo aveva approvato il decreto con un testo e un contenuto al quale avevamo dato dieci e lode. Era bellissimo. La sinistra del Pd ha fatto fare correzioni che noi non abbiamo condiviso sul decreto che rimane comunque un passo avanti», si accontenta Angelino Alfano. «Sono convinta che il decreto lo cambieremo al Senato, riportandolo più vicino al testo originale varato dal governo», garantisce Beatrice Lorenzin, ministro alfaniano della Salute. «Il governo ha negoziato solo con la componente del Pd», avverte Giuliano Cazzola, candidato alle europee per Ncd. Eppure i deputati Ncd hanno battuto il record di presenze al voto di ieri: 27 su 28. Alla faccia del disagio.

Mal di pancia anche tra i centrini fiancheggiatori di Renzi. Di «forzatura e fallimento» parla Andrea Romano, deputato di Scelta civica, che in sede di dichiarazione di voto nell'aula di Montecitorio si rammarica: «Non siamo riusciti a evitare un conflitto di natura ideologica ed elettorale». «Certa sinistra preferisce i disoccupati agli occupati a tempo determinato o agli apprendisti, noi preferiamo sempre e comunque il lavoro alla disoccupazione», commenta il deputato Sc Gianfranco Librandi.

Montecitorio ieri è stato anche teatro della plateale protesta dei deputati del Movimento 5 Stelle, che si sono incollati sulla fronte o sulla bocca un codice a barre per rappresentare i lavoratori «trattati come merce». «Cosa aspettate - domanda al governo Renzi il deputato Marco Baldassarre - a fare un dl che identifichi gli schiavi moderni con un codice a barre sulla pelle?». Poi un invito provocatorio al premier: «Presidente, tra qualche giorno sarà il 1° maggio, festa dei lavoratori, voglio vederla salire sul palco in piazza San Giovanni e se qualcuno chiederà cosa farà per i lavoratori, abbia il coraggio di citare Cetto La Qualunque: “Spessamente, indubbiamente, qualunquemente... una beata minchia”».

Più convenzionale il dissenso degli altri partiti di opposizione. «Il decreto lavoro ha perso del tutto la sua progettualità: è inutile, forse anche dannoso. È dettato dalle minoranze nostalgiche del Pd che influenzano la maggioranza di governo, con il loro solito approccio ideologico», dice il deputato Rocco Palese annunciando il no di Forza Italia alla fiducia al governo. «Dopo essersi venduto alla sinistra sull'immigrazione per un pugno di poltrone, adesso Ncd si fa guidare dalla Cgil sul decreto lavoro», sentenzia il capogruppo leghista in commissione Lavoro alla Camera, Massimiliano Fedriga.

«Mi risulta che la Cgil sia molto critica sul decreto lavoro e quindi le accuse di interferenza sugli emendamenti del Pd sono solo disinformazione e bassa propaganda elettorale», replica il presidente della commissione Lavoro Cesare Damiano.

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