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Saccomanni, il supertecnico benedetto da Quirinale e Bce

All'Economia Napolitano impone il direttore generale di Bankitalia molto vicino a Draghi. Ma avrà poche risorse per passare dal rigore alla crescita

Saccomanni, il supertecnico benedetto da Quirinale e Bce

Abita nella stessa strada di Mario Draghi (ai Parioli, quartiere della Roma bene) e secondo i più attenti osservatori non poteva che essere così. Perché la caratteristica principale di Fabrizio Saccomanni è proprio il legame di ferro con la Bce e il suo presidente. Sicuramente è stata questa la carta che gli ha fatto vincere la poltrona (scomodissima) di ministro dell'Economia. La Banca centrale è l'istituzione che ha impedito all'Italia di sprofondare sotto i colpi della speculazione e un filo diretto con Francoforte (oltre che con Bruxelles) sono stati punti fermi nella formazione del governo, fin dall'inizio.
L'idea di una sua nomina è cronologicamente precedente all'incarico a Enrico Letta; porta in calce la firma politica di Giorgio Napolitano ed è la prosecuzione di una lunga tradizione di uomini di Bankitalia che approdano al governo: da Luigi Einaudi a Guido Carli fino a Carlo Azeglio Ciampi.
Ma non è stata una scelta scontata. Saccomanni è il più tecnico dei ministri di un governo che nasce dopo la delusione della politica e del Paese verso dei ministri tecnici. Dovrà superare diffidenze chi teme che un altro «non politico» finisca per limitarsi a fare il guardiano del rigore, trascurando lo sviluppo. Dovrà farlo con pochissime risorse a disposizione.
Dovrà anche fare dimenticare alcuni scivoloni politici. Ad esempio le lodi al governo Monti. Quelle sulle manovre dell'anno scorso che, disse, avrebbero «favorito lo sviluppo» mentre hanno salvato il deficit deprimendo - come ha recentemente riconosciuto la stessa Bankitalia - l'economia.
Il curriculum di Saccomanni, comunque, resta quello di una «risorsa di stato» di tutto rispetto. C'è lo standing internazionale. Fu Ciampi a valorizzarlo dentro l'Istituto di Via Nazionale, dove era entrato a soli 26 anni. Ne uscì solo dal 1970 al 1975, quando fu distaccato al Fondo monetario internazionale e dal 2003 al 2006, quando diventò vicepresidente della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo. Incarico durato, non a caso, buona parte del mandato a governatore di Antonio Fazio con il quale non aveva buoni rapporti. Il legame con Draghi nasce nel 2006 quando il neopresidente lo richiamò da Londra e lo nominò direttore generale. In questi anni si è distinto per avere portato a termine la riorganizzazione della Banca senza traumi. Ieri l'incarico che lo porterà fuori, con tutta probabilità definitivamente, da Bankitalia.
Classe 1942 (è il ministro più anziano del governo Letta), romano doc e appassionato di versetti di Gioacchino Belli, ma formato alla Bocconi, università milanesissima che ha frequentato negli anni Sessanta e che nel 2011 gli ha riconosciuto il titolo di Alumnus dell'anno.
Nel suo curriculum non ufficiale conta un paio di sconfitte. La più pesante è sicuramente la mancata nomina a governatore della Banca d'Italia. Draghi lo indicò per la sua successione, ma vinse Ignazio Visco. Una legnata, per ammissione dello stesso Saccomanni: «Nei miei confronti è stata commessa, per motivi direi futili, una grave ingiustizia che credo di non aver meritato». L'altra sconfitta, meno conosciuta, è la corsa per entrare alla Bce come primo membro italiano del board. Vinse Tommaso Padoa Schioppa perché vantava più titoli.


Sfide facilissime, se confrontate con quella che l'aspetta da oggi in poi.

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