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Salvatore Borsellino contro i giudici: solidarietà a Massimo Ciancimino

Il fratello del giudice e le Agende rosse in tribunale per sostenere il teste della presunta trattativa Stato-mafia, ora accusato di mafia, calunnia e detenzione di esplosivo

Salvatore Borsellino contro i giudici: solidarietà a Massimo Ciancimino

I paladini della legalità solidali con l'imputato di mafia e calunnia. Sembra un paradosso, ma è invece proprio quel che è accaduto ieri, in un'aula del palazzo di giustizia di Palermo. Salvatore Borsellino e un folto gruppo di aderenti al suo movimento delle Agende rosse si sono infatti presentati al processo col rito abbreviato - che di norma si svolge a porte chiuse - contro Massimo Ciancimino, l'ex «icona dell'antimafia» (il copyright della definizione è del suo ex pm Antonio Ingroia) e teste chiave del processo sulla trattativa Stato mafia finito in disgrazia e accusato, in vari processi, di concorso esterno in associazione mafiosa, calunnia e riciclaggio di denaro.

Il processo di ieri riguardava un'ennesima accusa rivolta al figlio dell'ex sindaco boss, quella di detenzione e cessione di esplosivo, per un arsenale trovato sepolto nel giardino dell'abitazione di Ciancimino jr subito dopo l'arresto per calunnia nella primavera del 2011. Il processo, come avviene di norma per i riti alternativi, avrebbe dovuto svolgersi a porte chiuse. Ma Massimo Ciancimino ha chiesto e ottenuto che l'udienza fosse pubblica. E così Salvatore Borsellino e i militanti delle Agende rosse si sono presentati. Non per esprimere solidarietà ai pm, Nino Di Matteo e Paolo Guido, che hanno chiesto tre anni per Ciancimino e due per Giuseppe Avara, l'amico che avrebbe aiutato il figlio del sindaco boss a disfarsi dell'esplosivo. No, la loro solidarietà era tutta per Massimo Ciancimino, si, proprio l'imputato. Con buona pace dei pm che via via lo hanno messo sotto accusa. E anche di qualche sentenza, sia pure non definitiva, che ha letteralmente sbugiardato Ciancimino, dipingendolo come un opportunista che ha tentato di ingraziarsi i pm e di conquistare i riflettori dei media per salvare il patrimonio paterno.

Una delle ultime è quella di primo grado del processo contro il generale Mori, le cui motivazioni hanno scatenato un vespaio visto che giungono alla conclusione che la trattativa Stato mafia, nei termini in cui è stata prospettata dall'accusa nel processo ad hoc, non esiste. Ecco cosa dicono i giudici che hanno assolto Mori a proposito del teste Ciancimino, per il quale si prepara una nuova incriminazione per calunnia visto che è stata chiesta la trasmissione delle deposizioni al pm: «Le dichiarazioni e le spiegazioni di Massimo Ciancimino, che sembrano spesso aderire a realtà mutuate da dietrologismi mediatici - suggestioni alle quali il dichiarante, a giudizio del Tribunale, è assai sensibile, non sono sufficientemente affidabili». E ancora: «Non si può che ribadire la scarsa attendibilità del Ciancimino le cui dichiarazioni, che gli sono costate imputazioni ulteriori e più gravi rispetto a quelle che gli venivano contestate nel processo per riciclaggio pendente all'epoca delle sue prime propalazioni possono spiegarsi: con la irresistibile spinta di una narcisistica propensione ad affermazioni eclatanti che gli facessero guadagnare la ribalta mediatica (e infatti le prime sue dichiarazioni sono state rese ad organi di stampa); con il velleitario tentativo di conquistare con gli inquirenti una posizione di forza che preservasse il patrimonio (illecitamente accumulato dal padre) messo in pericolo dalle iniziative giudiziarie» .

Insomma, per i giudici, il teste chiave a cui Borsellino e Agende rosse prestano più fede che a una sentenza, è un bugiardo.

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