Politica

Schifani in campo sfida la maledizione dei superpresidenti

Nella Seconda Repubblica i numeri uno di Camera e Senato sono  svaniti nel nulla. La scommessa dell'ex inquilino di Palazzo Madama 

Il capogruppo al Senato Renato Schifani parla con Silvio Berlusconi
Il capogruppo al Senato Renato Schifani parla con Silvio Berlusconi

Che fare? Se lo chiedeva 111 anni fa Lenin, se lo domanda da qualche settimana pure Renato Schifani. Ma dopo giorni di apnea e di sottilissimi equilibri, adesso il capogruppo può tornare a respirare: se davvero Angelino Alfano sta rientrando nell'ovile, allora non sarà necessario scegliere tra il Cav e il Delfino, non ci sarà bisogno di sfidare la maledizione dei numeri due. «Sono sereno», spiega infatti il presidente dei senatori del Pdl, che non vuole fare la fine di Pera e Scognamiglio.

E allora, con chi sta? Secondo Renato Brunetta il problema non si pone. «Angelino sta con Berlusconi, quindi...». Schifani però ancora non si sbilancia: «Lavoro per l'unità del partito». Parole sagge, moderate, perfettamente in linea con il suo ruolo istituzionale a Palazzo Madama. L'uomo è ambizioso e l'incarico di capogruppo gli sta stretto: in fondo, lui era la seconda carica della Repubblica. Ma la prudenza non è mai troppa e i precedenti consigliano di evitare passi falsi.

La maledizione non scherza. Prendete Irene Pivetti e la sua parabola, dai foulard al fidanzatino ai completini dark. Era la più giovane presidentessa della Camera della storia, ora Wikipedia la ricorda come «conduttrice televisiva e giornalista», sorella della ormai più nota attrice Veronica. Guardate Nicola Mancino. Potentissimo presidente del Senato, più volte in lizza per in Quirinale, è finito alla sbarra a Palermo nel processo sulla presunta trattativa Stato-mafia insieme ai boss Brusca e Giuffrè, accusato di falsa testimonianza e di voler «occultare il reato».

Da seconda carica dello Stato a soubrette, imputato, desaparecido. È la sindrome della poltronissima, un morbo che da vent'anni colpisce infallibilmente tutti. Eppure una volta non era così. Durante la Prima Repubblica, diventare presidente di una delle Camere era come aver vinto la lotteria, era un formidabile trampolino perso il Colle. Basta ricordare Giuseppe Saragat, Giovanni Leone, Francesco Cossiga, Oscar Luigi Scalfaro.

Poi le cose sono cambiate. Di Carlo Scognamiglio, presidente dell'assemblea di Palazzo Madama all'epoca della discesa in campo di Silvio Berlusconi, se ne sono perse le tracce: è tornato a insegnare Economia applicata alla Luiss. Della Pivetti invece, come abbiamo visto, di tracce ne sono rimaste forse troppe. E dopo un periodo di oblio, è rispuntato pure Marcello Pera. Il filosofo che diventò presidente del Senato e che scriveva libri a quattro mani con Papa Joseph Ratzinger, l'altro giorno ha pronosticato che «Forza Italia rinasce già morta». Quanto ad Alfano, si chiedeva, «dov'è la proposta liberale?».

A volte ritornano. Più spesso spariscono. Come Irene Pivetti, che voleva spaccare la Lega ed è finita a fare l'ospite fissa nella trasmissione di Lorella Cuccarini. Come Gianfranco Fini, che voleva spaccare la destra e si è trovato senza partito e senza seggio parlamentare. Come Fausto Bertinotti, che voleva spaccare la sinistra e che adesso, come testimonia Dagospia, non si perde nessun tipo di vernissage, di sfilata di moda, di mondanità.

Qualcuno, per carità, ha retto botta, ha resistito meglio alla terribile maledizione. Franco Marini, presidente del Senato fino al 2008, solo qualche mese fa ha sfiorato il Quirinale: capo dello Stato per una sola notte, ora si è ritagliato la parte del padre nobile. Luciano Violante si è riciclato come esperto di riforme istituzionali. Pier Ferdinando Casini galleggia come può. Dopo la rottura con il Cavaliere, il flop di Scelta Civica e lo scambio di tenerezze con Mario Monti, sta lavorando alla costruzione di una scialuppa per gli eventuali esuli del Pdl.

Poi c'è Giorgio Napolitano, l'unico ex presidente della Camera eletto, e due volte, al Quirinale.

L'unico con gli anticorpi.

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