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I dubbi del Colle: sì al tandem, no alla staffetta

Il presidente non ha una contrarietà "preconcetta" a un cambio in corsa a Palazzo Chigi, ma giudica l'operazione-piroetta improponibile

I dubbi del Colle: sì al tandem, no alla staffetta

Roma - E no, la staffetta no. Per Renzi è una parolaccia, un ridicolo minuetto, un rito stanco da Prima Repubblica, una scorciatoia che la gente delle primarie non capirebbe. Per Napolitano invece, in teoria, non ci sarebbe nulla di scandaloso. Ma solo in teoria. Il presidente non ha una contrarietà «preconcetta» a un cambio in corsa a Palazzo Chigi, però giudica l'operazione-piroetta improponibile. «Enrico e Matteo devono lavorare in tandem», uno al governo per dare una svolta all'economia, l'altro al Nazareno impegnato a portare a casa le riforme. Insomma, sempre per restare nelle metafore sportive, i due fantasisti non possono giocare da soli, devono passarsi la palla. Devono «fare squadra». Intanto si fanno la guerra e Napolitano osserva basito. Se Letta non vuole «galleggiare», Renzi prova ad affondarlo, dando i quindici giorni al premier: «Lo schema era diciotto mesi per fare le riforme poi si va a votare. Se il presidente del Consiglio lo vuole cambiare, allora venga il 20 in direzione a dirlo». Al Quirinale non gradiscono affatto certe schermaglie. «Aprire una crisi per passare subito il timone a Renzi - spiegano - è un esercizio di fantapolitica». Innanzitutto per l'ostilità manifestata, almeno in pubblico, dai due diretti interessati: il premier ovviamente non ha alcuna voglia di farsi da parte e il sindaco, oltre al trappolone, teme di bruciarsi se accetta di farsi paracadutare a Palazzo Chigi senza passare dal voto. Senza contare i dubbi, anzi la forte «irritazione» del capo dello Stato all'ipotesi delle porte girevoli. Si arriva perfino a parlare di far cadere l'esecutivo durante la presidenza italiana dell'Unione, notano con fastidio sul Colle, per poi portare il Paese alle urne in autunno. É la stabilità? Dunque, nessun ribaltone. Un segnale in questo senso arriva pure dall'udienza concessa a Graziano Delrio, che raccoglie tutte le perplessità di Napolitano e il solito invito alla prudenza. Il ministro degli Affari regionali, fedelissimo di Renzi, è uno dei pontieri tra Enrico e Matteo. «Con il presidente della Repubblica abbiamo parlato a lungo, anche di riforme», racconta Delrio all'uscita dal colloquio. Quando tutto è in movimento, quando il quadro impazzisce, la cosa migliore è restare fermi per non aggiungere confusione a confusione. Fedele a questa linea di condotta, il capo dello Stato non cambia almeno per ora il tracciato. Letta e Renzi si devono dare una calmata e, in un modo o nell'altro, devono trovare la maniera di convivere. Matteo si giocherà le sue carte, le sue legittime aspirazioni, nel 2015, intanto vada avanti sulla strada delle riforme. Nel frattempo Letta non si tocca perché l'esigenza del Paese, agli occhi del Quirinale, è sempre la stessa. È quella che lo ha spinto a varare gli esecutivi Monti ieri e Letta oggi.

«Non è stato un mio capriccio - ha detto Napolitano mercoledì a Strasburgo - bisognava dare dei governi all'Italia per evitare che si precipitasse verso elezioni anticipate e verso l'instabilità politica e istituzionale».

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