Politica

Se l'Europa folle s'affida a un usciere

Se a un politico è impedito di rappresentare parte delle idee presenti nella società, non sarà soltanto lui o lei a soffrire del danno ma anche l'elettorato

Se l'Europa folle s'affida a un usciere

Se c'è un'istituzione che, nel mondo, è identificata con l'Europa migliore, questa è il Consiglio d'Europa, forum di promozione dello Stato di diritto e dei diritti umani e la Corte europea dei diritti dell'uomo, che ha saputo espandere i margini di protezione della Convenzione europea dei diritti conferendo un'efficacia reale ai diritti che tutela. La Corte interviene fondamentalmente a tutela dei singoli di fronte agli Stati. Ciò significa, logicamente, che in ogni caso di violazione dei diritti umani che le viene sottoposto, deve analizzare il funzionamento dei meccanismi di riparazione esistenti in ogni Stato, sostanzialmente valutando la possibilità del cittadino di ottenere giustizia. In molti modi, la Corte è riuscita a sancire la possibilità di concedere misure provvisorie che tutelino l'oggetto del procedimento fintanto che la sentenza non sia emessa. Questa protezione, all'inizio assolutamente restrittiva e circoscritta a situazioni in cui c'era pericolo per la vita o l'integrità fisica, si è progressivamente andata estendendo ad altri beni giuridici che l'evoluzione della società ha qualificato come tali. La Corte ha affermato ripetutamene che la Convenzione è uno strumento vivo che deve essere interpretato alla luce delle condizioni attuali «in modo tale che le sue garanzie siano concrete ed effettive e non teoriche e illusorie», applicando misure provvisorie a una gamma più ampia di diritti, in particolare a quelli di natura politica. La Corte ha stabilito che i precedenti giurisprudenziali non la vincolano per le decisioni future, così come ha dichiarato che tutti i diritti tutelati dalla Convenzione meritano la stessa protezione. Di conseguenza, nel momento in cui esiste il requisito sostanziale dell'esistenza di un danno grave, imminente e irreparabile, si ha motivo per sollecitare una misura provvisoria.

Circa 4.000 cittadini italiani, tra cui alcuni deputati del parlamento nazionale ed europeo hanno chiesto la sospensione di alcuni atti e decisioni che riguardano Silvio Berlusconi e che sono oggetto di ricorso tuttora pendente di fronte alla stessa Corte. In effetti, in caso il ricorso pendente di Berlusconi andasse a buon fine, egli potrà ottenere soddisfazione mentre i milioni di cittadini italiani che lo hanno votato e che desidererebbero votarlo ancora non otterrebbero alcun tipo di riparazione. Si tratta perciò di un danno irreparabile. Per quanto riguarda la gravità del danno, occorre ricordare il voto in dissenso del giudice Rozakis nel caso ZŽdavoka contro Lettonia del 16 marzo 2006, che basa l'entità del danno proprio nell'effetto potenziale sui risultati elettorali. L'elezione di parlamentari che esprimano le aspettative del loro elettorato è uno dei fondamenti della democrazia rappresentativa. Se a un politico è impedito di rappresentare parte delle idee presenti nella società, non sarà soltanto lui o lei a soffrire del danno ma anche l'elettorato e, dunque, la democrazia stessa. Indubbiamente, il fondamento per la concessione di misure provvisorie si riassume nell'aforisma latino fumus boni iuris («parvenza di buon diritto»). Risalta il fatto che Berlusconi sia stato privato del diritto di elettorato passivo per sei anni, applicando una legge (decreto Severino) in modo retroattivo. E per la stessa fattispecie, anche la sanzione dell'interdizione dai pubblici uffici, in questo caso per due anni. Dunque, al di là della persona di Berlusconi, è necessario rivendicare il valore delle garanzie che stanno alla base di qualunque legislazione penale.

Con mia somma costernazione, ho ricevuto un rigetto alla richiesta di misure provvisorie firmato da un segretario della cancelleria della Corte. Nel rigetto si specifica che la richiesta non è stata sottoposta alla visione di un giudice per l'assenza manifesta del requisito d'urgenza previsto per l'applicazione dell'articolo 39 del regolamento. Ciò che è manifesto è ciò che è evidente. Dalla succinta elencazione degli argomenti sopracitati, niente appare meno evidente della non applicabilità dell'articolo 39 a questo caso. Inoltre, e soprattutto, questa decisione è contraria alla stessa giurisprudenza della Corte in relazione al diritto di accesso alla giustizia, la cui essenza si radica nell'«accesso al giudice» (caso Golder contro Regno Unito del 21 febbraio 1975). Centomila casi pendenti non sono poca cosa, ma la Corte deve preservare il suo capitale di credibilità essendo coerente con la sua dottrina.

La Corte non può, per il troppo successo, rinunciare a fare da giudice.

Avvocato, ex Ministro degli esteri spagnolo

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