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Senatùr infuriato per i rumors sul suo addio. E reagisce: «Falsa la paghetta ai miei figli»

Senatùr infuriato per i rumors sul suo addio. E reagisce: «Falsa la paghetta ai miei figli»

Macché depresso, piagnucolante e sull’orlo dell’addio alla Lega. Dicono i pochissimi che in queste ore hanno avuto accesso diretto a Umberto Bossi, che se mai «è carico a pallettoni». «Pensieroso» è il solo aggettivo negativo che concedono all’umore del Senatùr. Perché sì, le inchieste giudiziarie pesano, eccome. E però, alla fine ieri il vecchio leone s’è arrabbiato. Ha letto l’ennesima puntata che i giornali hanno pubblicato sul suo umore, «stanco», «solo», «triste». E anche l’ultima dichiarazione di Roberto Maroni, che a domanda su un ipotetico addio di Bossi risponde: «Non lo so». Così, ha deciso che era il momento di dare una zampata. L’ha messo nero su bianco: «Non è assolutamente vero che ho intenzione di lasciare».
Certe ricostruzioni, Bossi ne è convinto, sono basate su quello che i maroniani vogliono far trapelare sul suo stato d’animo, «per descriverlo come uno che non ce la fa più, che è crollato». Per questo, nel messaggio in cui dice che «lascerò soltanto quando la Padania trionferà», Bossi avverte che le voci su un suo definitivo passo indietro sono «la prova provata che piacerebbe al sistema e ai suoi uomini». Là dove gli uomini di sistema, altri non sono che gli uomini di Maroni. Dicono i fedelissimi di Umberto che la Lega 2.0 che Bobo sta lanciando a passi svelti non lo infastidisca. Non può fare altro che lasciare a lui il compito di rimettere in piedi il partito, non a caso non ha fatto alcun comizio per i ballottaggi, e ieri si è detto «d’accordo» con la candidatura unica di Maroni alla segreteria federale, riservando per sé un «se mi eleggono...» riferito al ruolo di presidente della Lega.
Ma «altra cosa è pensare di farmi fuori del tutto» ha confidato Umberto, perché «questo se lo scordano: io non mollerò mai». Del resto, Bossi è convinto di avere ancora un potere interno: «Non importa quale ruolo avrà. Bossi resta Bossi, basta che dica mezza parola per mangiarsi tutti in un boccone. Tanti piccoli uomini non fanno fuori un gigante».
Così, nel primo giorno in cui è tornato a far sentire la sua voce dopo un silenzio che durava ormai dal 4 maggio scorso, ieri sera Bossi ha deciso di partecipare alla cena della sezione di Lesa, in quel di Novara, con una cinquantina di militanti, il governatore del Piemonte Roberto Cota e l’europarlamentare Mario Borghezio. Un modo per testare la base dopo gli avvisi di garanzia. Ma sull’evento si è creato un piccolo giallo. La Padania lo annunciava come un «incontro con la cittadinanza», mentre si trattava di un rendez-vous a inviti al ristorante Lago Maggiore. «Non sappiamo perché lo abbiano presentato così» hanno fatto sapere i cotiani. «Lo abbiamo ripreso dalle agenzie» è stata la replica del quotidiano. Imbarazzi e rimpalli, ma alla fine potrebbe essere stato lo stesso Umberto a volersi prendere la scena. Operazione riuscita, visto che l’intero circo mediatico si è mobilitato. «È stata una settimana di merda - ha detto -, ma non ci uccideranno». Subito prima di chiarire che però no, «la storia della paghetta di 5mila euro ai miei figli non è vera», se mai l’errore è stato «far entrare in Lega ragazzi troppo giovani, facilmente raggirabili»: «Avevamo un tipo strano a fare l’amministratore».
A chiedere la fine delle ostilità, ieri è stato un furioso Luca Zaia: «Non sopporto i fanatismi. Non sono mai stato un bossiano e non sono un maroniano. La nostra fortuna è che questo casino sia scoppiato adesso, prima delle Politiche - ha detto al Gazzettino il governatore veneto -. Abbiamo un anno per dimostrare di essere un partito serio. Se qualcuno continua ad azionare la macchina del fango solo per abbattere nemici interni, nel 2013 saremo destinati a scomparire». Il prossimo confronto è fissato a domani, quando in via Bellerio si sceglieranno i vice di Maroni. Per le «nazioni» invece i giochi sono fatti: Matteo Salvini guiderà la Lombardia, Flavio Tosi il Veneto, proprio ieri Verona ha votato i delegati. Il disegno di Maroni è circondarsi di alcuni fedelissimi, e poi avviare una gestione «collegiale» del partito.

Alla segreteria non vuol restare più di tre anni: nel 2015 si vota per la Regione Lombardia, ed è il Pirellone il vero obiettivo di Bobo.

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