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Il sequestro Ilva Per i giudici «l'inquinamento è stata una scelta»

Il disastro prodotto dall'Ilva a Taranto è stato «determinato nel corso degli anni, sino ad oggi, attraverso una costante reiterata attività inquinante posta in essere con coscienza e volontà per la deliberata scelta della proprietà e dei gruppi dirigenti», ma dallo spegnimento degli impianti potrebbe derivare la «compromissione irrimediabile della funzionalità» con importanti ricadute che «vanno ad intaccare contrapposti interessi, pure costituzionalmente rilevanti, quali quello della tutela dell'impresa produttiva e quello della tutela dell'occupazione e della manodopera». È quanto scrivono i giudici del tribunale del Riesame di Taranto nelle motivazioni del provvedimento con cui confermano il sequestro, senza facoltà d'uso, dei reparti a caldo dell'Ilva di Taranto. Ma il suo destino non è segnato. I magistrati infatti, pur scrivendo che il rischio per la salute pubblica sussiste a causa di «una gravissima contaminazione ambientale», sottolineano che lo stop «rappresenta, allo stato, solo una delle scelte tecniche possibili» aggiungendo che una decisione potrà essere presa «sulla base delle risoluzioni tecniche dei custodi amministratori». Proprio questi ultimi, che agiranno sotto la supervisione del pm, dovranno adottare «un programma che indichi tempi e modalità di risanamento». Secondo i giudici «l'unico modo per evitare gli effetti di pericolo (...) è impedire la tipologia di emissioni»; per questa ragione «tale risultato nell'immediato può essere raggiunto esclusivamente con il sequestro preventivo».

Il Riesame però scrive che la questione riguarda interessi tutelati dalla Costituzione: «Non si tratta certo di operare compromessi fra questi ultimi ed i primari interessi alla vita, alla salute e alla integrità ambientale, assolutamente preminenti, quanto piuttosto di individuare quelle soluzioni che, nel giungere alla cessazione delle emissioni inquinanti, consentano di pregiudicare il meno possibile gli ulteriori interessi in gioco».

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