Politica

Sfrattato dopo 30 anni, è la Fini del mondo

La Rete lo prende in giro, "Striscia" gli dà il Tapiro. E lui è sotto choc: "Andrò in pensione". A 6.200 euro al mese

Il Presidente della Camera dei Deputati Gianfranco Fini
Il Presidente della Camera dei Deputati Gianfranco Fini

Roma - Chi lo ha incontrato lo descrive «sotto shock», come uno che ha l'aria di aver smarrito la schedina dopo aver vinto al Superenalotto, provato e incredulo di fronte a quelle percentuali minuscole e irridenti, quello 0,46% che somiglia a uno sbriciolamento più che a un crollo.
Il giorno dopo la sua esclusione, Gianfranco Fini assapora fino in fondo il calice della sconfitta, l'ultimo schiaffo della sua personale parabola di autodistruzione. La mattina va a Montecitorio e si rinchiude nel suo ufficio. Qualcuno prova a portargli qualcosa da mangiare ma l'appetito latita. A chi lo incrocia si limita a una battuta: «Vorrà dire che andrò in pensione». Nel primo pomeriggio si sposta a Via Poli, nel quartier generale di Futuro e Libertà, dove riceve da Valerio Staffelli il Tapiro d'Oro. Inutile provare a immaginare adesso un futuro politico. «Non rientrare in Parlamento non è certo un motivo sufficiente per desistere dal tentativo di rappresentare da destra un'Italia mille miglia lontana dal berlusconismo e dal grillismo» dichiara. «Valuteremo come dar vita a una nuova stagione di impegno per consentire a una generazione più giovane di continuare a lavorare per una Italia migliore». Parole di circostanza. Perché la ferita è troppo fresca e anche i parlamentari a lui più vicini ammettono che «bisogna far decantare un po' la delusione». Qualcuno ricorda che di fronte ai sondaggi il suggerimento era stato quello di «fare come Casini e mettersi in salvo al Senato con la Lista Monti». Lui, però, aveva deciso di restare alla Camera, scommettendo sulla clausola del miglior perdente. Anche perché nessuno si aspettava la caduta verticale dell'Udc, scivolato sotto il 2% e «corresponsabile» della morte politica di Fli.

A questo punto per uscire dal vortice di questa tempesta perfetta il presidente della Camera si prenderà un periodo di riposo. Una indicazione che su Twitter scatena inevitabili ironie sui suoi futuri soggiorni a Montecarlo. In realtà nel giorno in cui quella percentuale da prefisso telefonico mette una croce su trent'anni di attività politica tra tante luci e altrettante ombre, dentro il partito risuonano le recriminazioni. C'è chi pensa retrospettivamente alle mancate dimissioni, chi suona il refrain delle cattive compagnie politiche, chi punta il dito sulla campagna elettorale e l'appiattimento su Monti, chi si sorprende per la mancata capitalizzazione del suo ruolo o per il velleitarismo coltivato fin dal primo giorno: «Non voglio una An in piccolo, ma un Pdl in grande» la sua frase dell'ottobre 2010.

Naturalmente adesso Fini dovrà anche ridimensionare il suo tenore di vita (un presidente della Camera fra indennità di funzione, di carica e rimborsi viaggia sui 15mila euro mensili), anche se certo non avrà il problema della sopravvivenza. Innanzitutto potrà incassare la buonuscita che spetta a tutti i parlamentari. Non si tratta di una regalia in quanto accantonata attraverso contributi mensili defalcati dalla busta paga. Le cifre, come scrisse Carlo Bertini su La Stampa «non hanno uguali in Europa: dopo 5 anni 46.814 euro, dopo 15 anni oltre 140 mila. E tutti esentasse». Considerato che Fini si appresta a compiere i 30 anni in Parlamento, questo vuol dire che riceverà un assegno vicino ai 270mila euro. Per quanto riguarda il vitalizio mensile, questo dovrebbe aggirarsi sui 6200 euro mensili. Non avrà, invece, a disposizione la Fondazione Camera, azzerata dopo una lunga battaglia di Amedeo Laboccetta. «Si trattava di un giocattolo per ex presidenti che costava due milioni. La sua cancellazione rappresenta un punto d'onore e il segno positivo del mio passaggio». Fini, comunque, come ex presidente avrà diritto a un ufficio con alcuni collaboratori, senza ulteriori benefit.

Ma chi lo conosce assicura che difficilmente metterà piede da sconfitto nelle stanze e nei corridoi dell'istituzione di cui è stato il dominus.

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