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La Sgrena ha orrore delle divise ma non se servono a salvare lei

La giornalista del Manifesto liberata in Irak al prezzo della vita di Calipari adesso condanna senza pudore i marò. È il simbolo dell’Italia che odia i militari

La Sgrena ha orrore  delle divise ma non  se servono a salvare lei

Quando lunedì il sindaco Giuliano Pisapia e la giunta di Milano han rifiutato di esporre uno striscione per chiedere la liberazione dei nostri due marò qualcuno ha fatto un sogno. S’è illuso che il gesto innescasse la protesta delle due Simone, di Giuliana Sgrena e della pattuglia di «prigionieri» afghani, tra cui il collega di Repubblica Daniele Mastrogiacomo e i volontari di Emergency Marco Pagani, Matteo dell’Aira e Matteo Garatti. A loro nessuna istituzione negò mai solidarietà partecipazione e spazi durante i difficili momenti della prigionia.

Ma era solo un sogno. Nessuno ha aperto bocca. Nessuno ha mosso un dito per chiedere che a Massimiliano Latorre e Salvatore Girone fosse riconosciuta la stessa solidarietà. Le ragioni del distratto silenzio di molti ex prigionieri restano ignote. Conosciamo però quelle di Giuliana Sgrena. La giornalista del Manifesto - salvata grazie all’impegno del governo Berlusconi e al sacrificio del funzionario del Sismi Nicola Calipari - le ha chiarite in un articolo dello scorso 22 febbraio. Nell’articolo la Sgrena agita il sospetto che un successo della nostra diplomazia si possa «tradurre facilmente in impunità». Insomma i due marò sono probabilmente colpevoli e se per caso tornassero in Italia sarebbero velocemente scagionati.

La Sgrena manco si sogna di ricordare che l’attacco dei pirati all’Enrica Lexie e la morte dei due pescatori, sono due episodi distinti e separati. Per lei le ricostruzioni della nostra Marina militare e il rapporto dei nostri marò vale zero. Per lei il Verbo è quello della polizia indiana.

In questa chiave anche i tentativi di allontanare i pirati e le raffiche sparate in aria diventano espressione di una logica violenta. «Ancora una volta si parla di avvertimenti, quali avvertimenti (luci, spari in aria) e contro chi? – si chiede la Sgrena - avvertimenti che se anche ci fossero stati non sarebbero nemmeno stati compresi da pescatori che nulla avevano a che fare con logiche militari in acque non abituate ad atti di pirateria». Insomma per Giuliana i pirati non esistono. Per lei esistono solo le «logiche militari».

E quelle logiche hanno trasformato i due fucilieri di marina in assassini. «Il caso dei marò è di estrema gravità – spiega la giornalista - perché sancisce il diritto di uccidere chiunque venga sospettato di poter essere un pirata: la guerra si trasferisce dai paesi sotto occupazione alle acque più o meno internazionali, poco importa». Poco importa, vien da pensare, che la Sgrena debba la propria salvezza al sacrificio di un uomo in divisa. Dietro ragionamenti come questi fan capolino, purtroppo, gli stessi schemi mentali e gli stessi odii di mezzo secolo fa quando i comunisti italiani non consideravano i militari figli della stessa bandiera, ma servi di un sistema colpevole di contrapporsi all’Unione Sovietica. «Mutata mutandis» l’estrema sinistra riciclata sotto le bandiere del pacifismo continua a detestare le forze armate e a riproporre l’antica contrapposizioni. Chi milita nelle sue fila è preventivamente buono od innocente. Chi ha scelto la professione del militare è un nemico del popolo, un potenziale criminale da abbandonare e dimenticare.

Le frange più estreme di quella sinistra si trastullano ancora con slogan come «10 100 1000 Nassirya». Quelle slegate da logiche così aberranti, continuano ad esibire nei confronti delle Forze armate sentimenti che spaziano dall’estraneità all’ostilità. La Sgrena continua a mal digerire l’immagine televisiva di lei ferita tra le braccia di un funzionario dei nostri servizi segreti. Emergency e Gino Strada si guardano bene dal collaborare con i nostri militari in Afghanistan. E un sindaco di Milano, reduce di Democrazia proletaria prima e di Rifondazione comunista poi, si guarda bene dall’esprimere un briciolo di solidarietà per i nostri fucilieri di marina.

A tutti costoro non devono ancora aver spiegato che il comandante supremo dei due marò detenuti in India e delle nostre Forze armate è un ex comunista chiamato Giorgio Napolitano.

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