Politica

La solita sinistra: bandiere rosse e Costituzione

Si ripete il vecchio rituale degli anti Cav: gridare al golpe di fronte a qualsiasi riforma

La solita sinistra: bandiere rosse e Costituzione

Il colpo d'occhio è da cinegiornale della Liberazione: bandiere rosse e Bella ciao. La cornice è altrettanto vintage, ma di quel vintage che a sinistra non smette mai di essere attuale. E così a migliaia si ritrovano in Piazza del popolo, il tempio degli happening col pugno chiuso. Anche il palco è un Pantheon di questo mondo asserragliato nei suoi dogmi: ecco il tribuno della Fiom Maurizio Landini, e poi l'ex presidente della Consulta Gustavo Zagrebelsky, la professoressa emerita Lorenza Carlassare, e, naturalmente, Stefano Rodotà, il giurista che sognava il Quirinale e oggi è la bussola di uno spicchio ultrà del Pd. In piazza per la Costituzione: un classico, perché da sempre la Carta fondamentale scalda i cuori dei militanti che inorridiscono davanti a Berlusconi, alle larghe intese e a tutto ciò che ai loro occhi ha il gusto acido del compromesso.

C'è un'Italia che puntualmente riparte dalla strada perché la piazza è il serbatoio delle scintille, delle emozioni, delle proiezioni rivoluzionarie. Ed è, ça va sans dire, la trincea in cui si difendono i valori non negoziabili che non sono quelli predicati dalla Chiesa ma gli articoli della Costituzione. Basta un sussulto nel Paese, una proposta di legge, un discorso del Cavaliere e il serpentone variopinto si rimette in moto. Si mobilita. E corre a proteggere i sacri testi dalle incursioni del nemico. Ha un bel dire un giornalista liberale come Piero Ostellino che la nostra è la più brutta Costituzione del mondo. C'è un'altra Italia che la considera intoccabile, immodificabile anche nelle virgole, perfetta, perfettissima come il Verbo. E grida al complotto e al golpe ad ogni tentativo, anche impalpabile, di modifica, di correzione, semplicemente di aggiornamento di quel che ormai appare datato. Logoro. Vecchio.
Eccoli tutti insieme: quelli di Rifondazione, di Legambiente,di Emergency, di Sel, di Azione civile, che evidentemente è sopravvissuta ai capitomboli di Antonio Ingroia. In corteo per esistere e per puntare l'indice. Uno schema antico e sempre nuovo. A suo modo inebriante. Un rituale che si ripete: Fiom e Cgil, gauche radicale e iconoclasta, bandiere e slogan, orazioni e requisitorie. Come il Primo maggio. E quando il cuore chiama.

Il metronomo batte sempre lo stesso ritmo, riproposto in modo ostinato, anche se la parola d'ordine può cambiare. «A chi ci dice che questa Costituzione non è adatta a governare - afferma Gustavo Zagrebelsky - noi chiediamo: sono loro adatti a governare?» Una domanda che è una chiamata alle armi, quasi una parola d'ordine, un passepartout. «Il motivo di questa manifestazione - aggiunge Rodotà - è quello di ritrovare la via maestra che è stata abbandonata». Dagli altri, perché loro sono sempre di qua, dalla parte giusta, sulla sponda del Mar Rosso che promette la salvezza. Maurizio Landini arringa alla sua maniera: «Noi siamo quelli che vogliono usare la Costituzione per cambiare il Paese e in tanti dovranno rispondere a questa piazza».
Sì, la piazza come fonte battesimale e la Costituzione come acqua benedetta. L'happening, la festa, il grido di battaglia contro gli infedeli, il nemico che preme oltre il sacro recinto. «La crisi del berlusconismo - riepiloga Nichi Vendola - esibisce una bestia ferita». Siamo a un passo dall'Apocalisse, ma è solo l'ennesima riproposizione del «racconto berlusconiano» che avrebbe «umiliato, ferito, manipolato e aggirato la Costituzione che non è stata pienamente realizzata». L'altra Italia è tutta in piedi ad applaudire.

Cartolina senza tempo di un'ideologia sempre uguale.

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