Politica

La sorpresa Nuovo salasso alle famiglie

RomaUna tassa sul licenziamento a carico dei «datori» di lavoro meno tutelati, cioè le famiglie che hanno necessità di un aiuto per la casa, per figli o di assistenza per un malato, anziani non autosufficienti. È l'ultimo effetto collaterale della riforma Fornero a emergere in ordine di tempo. Segnalato da Assindatcolf, associazione dei datori del lavoro domestico, ai suoi iscritti.
Si tratta di un contributo che renderà ancora più difficile terminare un rapporto di lavoro con i collaboratori domestici. Si chiama appunto «contributo di licenziamento», ed è calcolato sulla base del periodo di lavoro. Può arrivare fino a 1.450 euro e serve a finanziare il nuovo sistema di ammortizzatori sociali. La Aspi e la mini Aspi, le due assicurazioni varate dal governo Monti ed entrate in vigore a partire da quest'anno.
Chi, dall'1 gennaio 2013 vorrà interrompere il rapporto di lavoro con il collaboratore domestico o con la badante, dovrà pagare un importo di 483,80 euro per ogni anno di anzianità lavorativa. Per le durate inferiori all'anno si calcolano i mesi. Per nove mensilità, ad esempio, il contributo sarà pari a 362,85 euro. Al massimo si possono comunque pagare tre anni (da qui la somma massima di 1.451,40 euro). Si applica ai rapporti di lavoro a tempo indeterminato in ogni caso. Non è un'assicurazione volontaria.
Poniamo ad esempio che il collaboratore domestico non voglia il sussidio previsto dalla riforma Fornero; anche in questo caso il datore dovrà pagare il contributo. Uniche eccezioni, l'interruzione del rapporto di lavoro per dimissioni o per risoluzione consensuale.
Tra gli aspetti più controversi della nuova «tassa», il fatto che il datore di lavoro sarà tenuto a pagarla anche in caso di licenziamento per giusta causa. Quindi anche se il rapporto di fiducia con il collaboratore si è interrotto per un motivo grave. O se viene meno la ragione per la quale era stato assunto, ad esempio in caso di decesso dell'assistito. «Consideriamo la normativa una limitazione alla libertà del datore domestico - si legge in un documento dell'Assindatcolf - di risolvere il rapporto in qualsiasi momento e un onere economico eccessivo. Pertanto ci attiveremo presso le sedi competenti al fine di richiedere per il lavoro domestico l'eliminazione del contributo di licenziamento, o quantomeno la sua correzione».
Il provvedimento, oltre a colpire in modo diretto e consistente le famiglie, già bersagliate dall'aumento dell'Iva, dell'Imu, è un incentivo alla irregolarità in un settore che è già in larga parte sommerso.
Il Censis nel 2010 ha calcolato che in Italia ci sono circa 5 milioni di colf e badanti. In dieci anni sono aumentate del 40%, in particolare per quanto riguarda la cura delle persone anziane e dei malati. Un welfare fai da te i cui costi ricadono per intero su 2 milioni e 412mila famiglie. I collaboratori irregolari, sempre secondo il Censis, sono il 61,8 per cento. A lavorare completamente in nero sono il 53,9 per cento dei collaboratori domestici italiani e il 34,7% degli stranieri. Il record del sommerso va al Sud, con il 72,7% dei collaboratori irregolari.
La maggioranza dei collaboratori, il 55,4%, lavora per una sola famiglia, mentre il 44,6% è «pluricommittente». Il contributo all'Inps per pagare la nuova Aspi, che sta per Assicurazione sociale per l'impiego, rende ancora più difficile la vita di chi ha deciso di mettere in regola il collaboratore. Già messa a dura prova da prassi e giurisprudenza spesso a sfavore dei datori.

Non sono rari i casi di cause di lavoro che finiscono con il pagamento di somme al collaboratore, anche nel caso in cui il datore sia dalla parte della ragione e abbia fatto tutto secondo la legge.

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