Politica

Da star a centrino, la triste deriva del Professore triste

La solitudine di un leader nel dimenticatoio è anche questo, un'umiliante anticamera di 9 ore e 29 minuti. L'ex premier Mario Monti, in quel momento «vicino a Roma», si sfoga su Facebook alle 10.37 dell'ultima domenica di giugno e minaccia di mandare a casa il suo successore Enrico Letta. Ma... Ma la prima agenzia che se ne accorge è l'Agi alla buon'ora delle 20.06 e finalmente compare il titolo «Monti, stop ambiguità o non sosterremo più coalizione», corredato con un trattino, il livello più basso delle segnalazioni speciali ai capiredattori. Sic transit gloria mundi, soltanto pochi mesi fa sarebbe stato impensabile per qualsiasi organo di stampa dimenticare nei meandri della rete il pensiero dell'uomo che doveva governare l'Italia per qualche annetto.

Anche in politica non c'è niente di più triste dei riflettori che si spostano altrove, del palcoscenico una volta scintillante rischiarato malamente da qualche lampadina di servizio. Monti da Vespa, Monti dalla Gruber, Monti dalla Bignardi, Monti da Fazio, tutto questo avveniva non più di una manciata di settimane fa, pari però a un'era geologica. Il serafico professore dalla battuta pronta, che metteva al bando chiunque minacciasse stabilità e rigore, si è fatto sostituire dalla controfigura domenicale che s'impiglia nei social network. Ma soprattutto formula minacce politiche che suscitano divertite alzate di spalle o paterne prese di distanza. Se Berlusconi lascia solo intendere di far saltare la maggioranza i palazzi fibrillano, se lo fa Monti tutto si risolve con un va be'. Quasi impietoso il capo dello Stato Giorgio Napolitano, l'uomo del Colle che ne costruì la premiership con un'estate di trame e una generosa nomina preventiva a senatore a vita. Da Zagabria, Re Giorgio si è degnato di dedicare al suo ex pupillo una dichiarazione di tre righe: «Faccio molta fatica a prestare un volto minaccioso al professor Monti che, voglio ritenere, voglia giocare solo un ruolo di stimolo». E il caso è chiuso, se mai è cominciato, con un autorevole sigillo.
Vai a sapere perché un ex presidente del Consiglio che si districava tra Obama e la Merkel, si innervosisca se il socio Casini lo punzecchia o se Cesa veste i panni dello stalker interno criticandolo tutti i giorni. Misteri di Scelta civica, sognata come grande casa degli italiani e finita come una microlista rissosa condannata dai sondaggi a un futuro poco radioso. Tanto più se il padre fondatore, nobile fregio di una maggioranza che può fare a meno dei suoi voti, manda messaggi minatori a Letta senza avere la forza per attuarli. Con due ministri terrorizzati di essere messi alla porta, 16 senatori e 38 deputati, l'arsenale politico del Professore si è ridotto ai minimi termini dagli iniziali splendori.

Più prosegue l'incerta avventura del governo di larghe intese, più Monti si intristisce per il ruolo di piccolo azionista che gli sta stretto. Non riesce a incidere, non risale nei sondaggi, è tormentato dagli ex Udc che non vedono l'ora di rimettersi in proprio come ai vecchi tempi. Quelli che lo interpellavano come l'oracolo non lo consultano più, quelli che lo raffiguravano come un incrocio tra Cavour e De Gasperi sorridono quando si lamenta per essere più apprezzato all'estero che in Transatlantico.

Resta sempre però un gran signore, un prodotto dell'antica borghesia tecnocratica che la politica lusinga nei momenti del bisogno e liquida con una pedata quando servono altre figure. Gli fa onore l'understatement con cui si presenta su Facebook, nel mare magnum degli schiamazzi telematici: professore di economia, senatore della Repubblica (senza distinguersi per il laticlavio a vita). Non ha sbagliato a improvvisarsi negli improbabili panni del sabotatore delle larghe intese. Ha commesso un altro errore: quello di credere che gli italiani lo avrebbero fatto premier a vita per mancanza di personaggi preparati come lui.

Right or wrong, ma in Italia la democrazia funziona così.
twitter@gabarberis

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