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Stop ai processi eterni La bozza del governo: si chiude entro 6 anni

Nella bozza di decreto sulla crescita le misure per sveltire la giustizia e assicurare processi equi. Superati i limiti fissati scattano gli indennizzi

Stop ai processi eterni La bozza del governo: si chiude entro 6 anni

La giustizia italiana detiene un bruttissimo primato. Nel Belpaese i processi (sempre più lunghi) scoraggiano i cittadini e minano il rapporto di fiducia con la legge. Secondo il rapporto recentemente presentato Palazzo Madama, la durata media di un processo penale è di otto anni e tre mesi, il doppio rispetto al 2010 e con punte di oltre 15 anni nel 17% dei casi. Ancora peggio in ambito civile: il 20% dei procedimenti si protrae dai 16 ai vent'anni. Adesso, però, il governo vuole darci un taglio: la bozza di decreto sulla crescita viene fissato in sei anni di tempo il termine ultimo per finire un processo, compresa la Cassazione. Una vera e propria rivoluzione per l'Italia.

L'obiettivo del Guardasigilli Paola Severino è di accelerare i tempi entro cui un sentenza civile diventa definitiva. Ma non solo. La titolare del dicastero di vi Arenula mira anche a snellire il carico di lavoro che intasa gli uffici giudiziari. Secondo una anticipazione di ItaliaOggi, infatti, il decreto fisserebbe "il processo breve ai fini del riconoscimento dell'equo compenso dai processi lumaca". E, dunque, il processo dovrà aprirsi e chiudersi entro sei anni: tre anni per il primo grado, due per il secondo e uno per la Cassazione. Qualora si dovesse eccedere, scatterebbe l'indennizzo come fissato dalla legge Pinto: da un minimo di 500 euro a un massimo di 1.500 per ciascun anno o frazione di anno superiore ai sei mesi che eccedono il termine ultimo di durata del processo. Non solo. In base alla bozza al vaglio del governo, il decreto prevede che, "quando la domanda per equa riparazione è dichiarata inammissibile o manifestamente infondata, l'interessato potrà essere condannato al pagamento di una somma" compresa tra i mille e i 10mila euro.

Per evitare che la macchina della giustizia si incarti su se stessa, il decreto mira a porre un vero e proprio filtro ai ricorsi nei processi civili. Sarà, infatti, il giudice di secondo grado a stendere una sorta di prognosi di accoglibilità dell'appello in base alla quale verrà deciso se andare avanti o meno. Qualora il giudice dovesse valutare che l'appellante non ha alcuna chance di vittoria, non si passerà nemmeno a valutare il merito dell'impugnazione.

Nell'anticipazione di ItaliaOggi si spiega, però, che il decreto elenca i casi in cui il filtro non è valido: "quando l'appello riguarda le cause matrimoniali, di separazione dei coniugi e nelle cause riguardanti lo stato e le capacità delle persone", e nei processi sommari di cognizione.

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