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Sull'orlo di una crisi di nervi il Pd pensa di staccare la spina

È allo sbaraglio, senza una linea unitaria da seguire, i leader si contraddicono l'uno con l'altro. E c'è chi vorrebbe volentieri vendicarsi del premier Letta

Sull'orlo di una crisi di nervi il Pd pensa di staccare la spina

Roma - C'è chi lo ripete anche pubblicamente: «È necessario che il Pd tenga i nervi saldi», come il capogruppo in Senato Luigi Zanda ieri in un'intervista con Repubblica. Ma il filo degli equilibristi del partito diventa sempre più stretto, e i meno fedeli al premier Letta, o comunque gli antiberlusconiani di ferro, come Rosi Bindi, già sono caduti nel baratro dell'attacco di un tempo al Pdl.

L'uscita di Sandro Bondi sulla possibile guerra civile Paese- magistratura ha fatto saltare il tappo del vulcano democratico silente. Non è potuto rimanere zitto nel governo il viceministro Stefano Fassina. «Le parole di questa mattina di Bondi sono al limite dell'eversivo - dice secco il numero due dell'Economia - Abbiamo davanti due scenari: o il Pdl ritorna nell'alveo della normalità democratica, oppure i suoi ministri che hanno minacciato dimissioni siano conseguenti e si dimettano».

Nel frattempo i renziani scalpitano. La prospettiva elezioni è ora molto più vicina, e gli uomini del sindaco rimproverano il partito di non aver ancora convocato la direzione: «La situazione sta precipitando, esponenti di primo piano del Pdl portano il loro attacco addirittura fino al presidente della Repubblica: possibile che il Pd non abbia in programma nessuna riunione? Il partito si riunisca subito», scrivono i renziani Ernesto Magorno e Federico Gelli. E in questo momento difficilissimo per la politica, insistono gli emissari del primo cittadino toscano, non c'è ancora «nessuna certezza su congresso e primarie, continuano i rinvii, si procede con le esplorazioni. Le riunioni previste sono state addirittura sconvocate e rinviate». Basta con la «melina», la perdita di tempo cronica.

Intanto torna a parlare anche l'ex segretario Pier Luigi Bersani, che chiama come in passato il Pdl «la destra»: «La destra si tolga dalla testa la pia illusione che davanti ad una grande questione democratica possano esserci divisioni o tentennamenti nel Pd». Se il Pdl «sceglie la strada dell'avventura, si carica di una enorme responsabilità politica e storica davanti al Paese».

Ma la spina nel fianco di Enrico Letta ieri è stata più di tutti una donna: «Dopo la condanna definitiva di Berlusconi, non possiamo far finta che sia tutto come prima - ha sbottato l'ex presidentessa democratica Rosi Bindi - dobbiamo discutere di quanto accaduto e decidere se e perché rinnovare la nostra fiducia al governo e all'alleanza che lo sostiene». Lo «stato di necessità» del Paese ora «non può diventare un alibi».

Il senatore del Pd Luigi Cucca, capogruppo del partito nella giunta per le immunità del Senato, abbraccia la posizione dei Cinque Stelle e di Sel, e chiede al presidente dell'organo parlamentare che deve decidere sulla decadenza di Berlusconi dalla carica di senatore «l'immediata convocazione della giunta medesima, non appena la presidenza del Senato farà pervenire la documentazione relativa alla sentenza nei confronti del senatore Berlusconi», addirittura, insiste, «anche anticipando la riunione già convocata per mercoledì 7 agosto».

Sibillino il presidente della regione Toscana, Enrico Rossi: «O gli attacchi eversivi di Berlusconi cessano immediatamente o il Pd dovrà rompere con il Pdl. E non è detto che non ci sia altra soluzione che il ritorno alle urne», profilando quasi una riapertura della «campagna acquisti», come l'avevano chiamata gli interessati, dei grillini.


Ci sono poi le colombe, come Barbara Pollastrini, che professa solidarietà e lealtà a Letta, ma il Pd ora «deve essere pronto a tutto».

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