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Le tante stranezze e i misteri intorno alla scuola di Sapri

Il Csm lo ha già processato per essere retribuito dall'istituto: assolto per un soffio. Riceveva gli studenti in pretura per le tesi e usava il personale per battere i testi

Le tante stranezze e i misteri intorno alla scuola di Sapri

Il giudice Esposito ha una scuola? Sulla carta no, di fatto sì. Certe volte però le carte vincono e i fatti perdono. Pretore ma anche factotum, insegnante, preside, segretario amministrativo e persino testimonial tv. Fango? Almeno il terriccio parrebbe preesistente. Per esempio, la questione del «secondo lavoro» del giudice Antonio Esposito di cui questo giornale si è occupato ieri, era emersa come anomalia già qualche anno fa. Più precisamente, a settembre del 1998, a Palazzo dei Marescialli, la vicenda dell'Ispi di Sapri era finita al punto C delle «incolpazioni» contestate dal Csm alla toga campana, sottoposta a procedimento disciplinare.
Sulla scorta di una relazione redatta da un allora giovane capitano dei Carabinieri della stazione di Sapri, Ferdinando Fedi, si chiedeva conto a Esposito – che nella città della spigolatrice era pretore all'epoca dei fatti contestati - del «ruolo di estremo rilievo nel funzionamento dell'Istituto superiore di studi socio pedagogici italiano di Sapri», del quale sarebbe stato «il gestore di fatto», occupandosi «dello svolgimento del pre-esame di ammissione, dell'assistenza agli allievi per la preparazione della tesi, dell'organizzazione delle varie attività didattiche e dell'aspetto più concretamente organizzativo dell'istituto».
La lettura dell'incolpazione specifica anche il tipo di autorizzazione che Esposito aveva ricevuto dal Csm: «Svolgere presso la scuola un incarico gratuito di docente in materie giuridiche». Ma tra le «accuse» c'erano anche quelle di essere «retribuito per l'attività svolta», di ricevere «in pretura numerosi iscritti al corso, specialmente per la preparazione delle tesi», e di «utilizzare il personale della sezione distaccata di Sapri per la battitura di tesi attinenti al corso». Il giovane carabiniere riferiva inoltre che Esposito era «quasi sempre reperibile» alla Ispi, dove era una sorta di factotum, e che addirittura sarebbe andato nelle tv locali a pubblicizzare le attività dell'associazione culturale/agenzia di formazione.
Il futuro presidente della sezione feriale della Suprema Corte, quel giorno d'autunno si difende dalla versione dell'ufficiale ragazzino attaccando come «mendaci» alcune sue dichiarazioni. In particolare sulla «forma societaria», poiché il capitano aveva parlato di una srl e non di un'associazione culturale, pur specificando che, srl o altro, il problema era la portata dell'impegno del magistrato nell'ente. Esposito nega anche di aver passato più tempo all'Ispi che in procura, ridimensiona il costo di alcuni corsi dell'«istituto» di inizio anni '90 («1,5 milioni l'anno, non 3») e sembra seccato che nelle sue dichiarazioni al Csm il capitano avesse detto che nel tal anno «ai tre indirizzi del corso c'erano 70 ragazze». Invece gli iscritti erano 60, e di entrambi i sessi, specifica la toga.
Vi sveliamo il finale di questo film di seconda visione: il Csm ha archiviato il procedimento.
Ma, come dice uno dei consiglieri che lo giudicò «la sentenza fu combattuta e l'assoluzione molto risicata». Il pretore si salvò con qualche difficoltà, ma il suo accusatore non fu ritenuto di certo poco credibile. Il capitano Fedi non è stato degradato, e non è stato cacciato dall'Arma, che evidentemente ha continuato a considerarlo un eccellente ufficiale. Ora è colonnello, e ricopre un importante incarico.
L'Ispi, come detto, esiste ancora.
Il fatto che il giudice Antonio Esposito non sia proprio una presenza marginale in quella scuola privata e di famiglia non rappresenta per il Csm un illecito disciplinare. La quasi quarantennale associazione «senza fine di lucro», battezzata a dicembre del 1978, quando Esposito e sua moglie erano a inizio carriera, continua a prosperare: organizza convegni, corsi, sportelli, firma convenzioni con province e regioni, collabora con l'Unical, l'Unicusano, la San Pio V, la Suor Orsola Benincasa di Napoli. E si pubblicizza, come raccontavamo ieri, inserendo tra i contatti il telefono cellulare dell'alto magistrato. Ultimamente più prudente e meno entusiasta con chi chiama per iscriversi ai corsi.


A una cronista del Giornale che gli ha telefonato chiedendogli se fosse lui il referente dell'istituto, Esposito s'è mostrato un po' burbero: «No, no, non sono io, senta lei sta facendo troppe domande, non so come ha avuto il mio numero, lo vuole il numero della segreteria sì o no?».

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