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Il timore di Berlusconi: un governo per farmi fuori

Il leader del Pdl convinto che un eventuale accordo tra Pd e grillini abbia come vero obiettivo le leggi anti-Cav. Voci su nuove inchieste

Il timore di Berlusconi: un governo per farmi fuori

Promette di «tornare personalmente in campo» e lancia un appello alla politica affinché si mandi «al più presto» un «messaggio di stabilità» altrimenti «rischiamo di pagare un prezzo troppo alto». Ma quel che davvero preoccupa il Cavaliere in queste ore è il cortocircuito tra magistratura e politica, il rischio che i vecchi processi e le possibili nuove inchieste in arrivo si vadano ad aggiungere al tentativo di costruire in Parlamento un asse tra Pd e M5S il cui unico core business sarebbe quello di far capitolare definitivamente Silvio Berlusconi.

Si ricomincia, insomma. Ma non con il solito schema, è il ragionamento che l'ex premier fa in più d'una conversazione privata. Già, perché non ci sarebbero solo i processi (Ruby e diritti tv Mediaset) e le nuove inchieste in arrivo, ma pure un tentativo di costruire a Roma un governo di minoranza che tra i tre, quattro punti chiave del programma abbia il conflitto d'interessi e la lotta alla corruzione con annessa ineleggibilità. Che siano cavalli di battaglia di Beppe Grillo non è un mistero, come pure non lo è il fatto che il Pd vede come fumo negli occhi le larghe intese con il Pd e farebbe di tutto per chiudere un accordo con il M5S. Se poi questo avesse come conseguenza il levarsi di mezzo il Cavaliere ancora meglio.

Chiuse le urne, insomma, si ritorna a quella che in privato Berlusconi definisce «la solita vecchia caccia all'uomo». Con l'aggravante che alla magistratura possa sommarsi l'azione di un Pd che dando ai suoi elettori lo scalpo del Cavaliere potrebbe farsi perdonare il tonfo elettorale. Ecco perché, pur restando alla finestra in attesa che la prima mossa la faccia Pier Luigi Bersani, l'ex premier butta lì una sua sostanziale disponibilità alle larghe intese. Lo fa in un videomessaggio, rivendicando il «consenso ottenuto» che «mi responsabilizza» e spiegando che i tempi non possono essere troppo lunghi altrimenti il rischio è quello della stabilità. «Solo dopo che dal 15 marzo in poi saranno insediati i gruppi parlamentari ed eletti i presidenti delle Camere - dice - il presidente della Repubblica potrà avviare le consultazioni per la scelta del governo». «Sono i tempi delle istituzioni - aggiunge - ma sono tempi troppo lunghi ed per questo vogliamo riformarli». Insomma, «se un messaggio di stabilità non verrà lanciato prima, rischiamo di pagare un prezzo troppo alto e per questo spetta alle forze politiche nella loro autonomia e responsabilità il compito di cominciare a dipanare la matassa della legislatura non ancora cominciata».

Pur sapendo che un accordo Pd-M5S è difficilmente percorribile, Berlusconi spinge però per accelerare i tempi. D'altra parte, la stretta sul fronte giudiziario è alle porte e già domani il Cavaliere dovrebbe essere nell'aula della Corte d'Appello di Milano per difendersi dall'accusa di frode fiscale nella compravendita dei diritti tv Mediaset. Ed è chiaro che quando si aprisse ufficialmente la trattativa per un governo di larghe il leader del Pdl avrebbe decisamente un peso e una forza diversa. D'altra parte, lo schema Berlusconi ce l'ha chiaro fin da prima del voto. Si dovesse arrivare alla condanna in Cassazione per i diritti tv - gli hanno spiegato più volte i consiglieri più fedeli - il passo successivo sarebbe quello di presentare alla giunta delle elezioni del Senato la richiesta di «decadenza» di Berlusconi da senatore.

Un occasione nella quale il Pd non avrebbe alcun problema a votare «sì» insieme ai grillini e, perché no, anche al piccolo drappello di montiani che al Cavaliere non perdonano il loro fallimento elettorale.

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